venerdì 30 gennaio 2015

"L'imprevedibile viaggio di Harold Fry" di Rachel Joyce

 
Ammetto di aver sottovalutato questo libro.
L'ho scelto perché ne cercavo uno poco impegnativo dopo il forte coinvolgimento di quello precedente - per chi se lo fosse perso, "Non aver paura dei libri", post del 23 gennaio.
Questo libro, invece, è stato una piacevole scoperta.

E' la storia di un sessantacinquenne inglese che un giorno , un tranquillo martedì di metà aprile, un giorno come tanti, riceve una lettera. La legge, si commuove e, dopo aver scritto una breve risposta di circostanza, esce di casa per spedirla nella buca delle lettere più vicina.
Ma mentre cammina, un passo davanti all'altro, l'inadeguatezza della risposta che ha appena scritto lo colpisce in pieno.
Sa che non è facile rispondere a una lettera d'addio di un'amica che non si sente da più di vent'anni e che sta morendo di cancro.
Harold si sente sopraffatto.
Decide di proseguire, un passo dopo l'altro, fino alla buca successiva. Ma è una bella giornata e, a volte, è più facile continuare a camminare piuttosto che tornare indietro e affrontare la propria vita, sempre tristemente uguale.
Harold prosegue, un passo davanti all'altro, verso l'ufficio postale.
Dall'incontro fortuito con una ragazza in una stazione di servizio, che gli parla di ottimismo e di fede, proprio a lui che non è credente, gli viene un'idea, che diverrà la granitica convinzione che finché lui continuerà a camminare Queenie resterà in vita, ad aspettarlo.
Comincia così il suo viaggio, lungo ottantasette giorni e mille chilometri, che da Kingsbridge, nel sud dell'Inghilterra lo porterà fino a Berwick-upon-tweed, al confine con la Scozia, nella casa di cura dove Queenie è ricoverata.


"Era così che andavano le cose? Che nell'attimo esatto in cui desiderava fare qualcosa era troppo tardi? Che bisogna rinunciare a tutti i pezzi di un'esistenza, come se in realtà non avessero nessun valore? La consapevolezza della propria impotenza era un peso tanto opprimente da farlo sentire debole. Non bastava spedire una lettera. Doveva esserci una maniera per fare la differenza".


Un passo dopo l'altro, Harold attraversa l'Inghilterra e ripercorre, nei ricordi, la sua vita, la sua infanzia di figlio rifiutato, il suo matrimonio felice affogato poi nel silenzio e il dolore più grande, quel dolore che non si può neanche raccontare.
Incontra molte persone sul suo cammino e saranno incontri a volte superficiali, a volte profondissimi, che lo commuoveranno, e ciascuno di loro lo segnerà nel profondo, proprio lui che si è sempre tenuto ai margini della vita, che lasciava firmare la moglie al posto suo e non parlava neppure coi vicini.

"Capì che il suo viaggio a piedi, quel camminare per espiare i propri errori, era anche un modo per accettare le stranezze degli altri. (...) La gente si sentiva libera di parlare, e lui era libero di ascoltare. Di portarsi via un po' di loro."


Harold, nella sua semplicità di uomo qualunque, non più giovane e senza equipaggiamento, compie un'impresa fuori dall'ordinario.
Harold è tutti noi quando decide di buttare via la cartina perché non vuole sapere quant'è lontana la sua meta, altrimenti se ci avesse riflettuto non sarebbe mai arrivato.
Harold ce la fa perché riesce  a non pensare al futuro. Rivive il passato ma soprattutto pensa sempre  e solo a metter un piede davanti all'altro. Vive il presente.
Tra i tanti insegnamenti che ho trovato in questo libro voglio portarmi via questo. Questo e la speranza che, se davvero lo vogliamo, nulla è impossibile.
Ora vado a camminare sulla neve.
Raffaella
La casa vicino al treno

mercoledì 28 gennaio 2015

Una mamma "nordica"?

 
Stamattina sono stata in biblioteca.
Mi piace andarci appena apre, quando il sole non è ancora arrivato, quando non c'è nessuno. Di solito di mattina è chiusa, solo mercoledì, giorno di mercato, apre ma forse lo sanno in pochi, perché rimane quasi sempre silenziosa.
Per arrivarci bisogna arrampicarsi per le vie del centro vecchio, dove le case sono tutte strette le une alle altre, separate solo da cortili e anguste stradine.
Camminando in salita, sulla destra, in un cortile apparentemente uguale agli altri si apre, invece, quello di una villa antica e solo attraversandolo tutto e salendo per una rampa, spesso accompagnati dal suono di violini incerti della scuola di musica al piano superiore, si entra in un cortile più piccolo, quello della biblioteca.
Al suo interno altissimi soffitti decorati, centinaia di volumi alle pareti, odore di polvere e storie.


Oggi però a colpirmi non è stato quest'odore rassicurante né la vista di tutte le infinite trame ancora da scoprire ma il dialogo con una mamma, come me.
Abbiamo entrambe due figli ed è stato naturale parlare della scuola appena ricominciata. Dopo pochi minuti ho fatto la mia gaffe quotidiana.
Premetto che non siamo amiche, non ci conosciamo molto bene ma il paese è quello che è, ci si vede e ci si incontra spesso.
Non so neanch'io come, dopo un po' di chiacchiere, mi sia venuto in mente di dire che l'anno precedente, nella classe di mio figlio - che non era la sua - c'era una mamma che faceva i compiti al posto della figlia.
"Addirittura colorava al posto suo!".
Lei mi guarda stupita e candidamente risponde:
" Anch'io coloro al posto dei miei figli, l'anno scorso ho fatto a xxx tutte le cartine di geografia. A lui non piace proprio farle!"
Non sapevo più dove guardare. Ma ormai non potevo più tirarmi indietro.
Parentesi. Io detesto discutere e litigare, sono una pacifista, per me ciascuno è libero di fare tutto ciò che vuole, quindi per favore non venite ad attaccare briga con me, non mi interessa!
Però capisco come a volte sia giusto esprimere le proprie idee, anzi doveroso, così mi sono ritrovata a spiegare come io creda fermamente nell'aiutare i figli a diventare persone indipendenti, a diventare quello che sono, senza interferire troppo e senza MAI fare le cose al posto loro. 
Una mamma nordica, in sostanza.
O almeno quello che intendo io per mamma "nordica", diciamo l'opposto della mamma invadente e impicciona.
I miei figli fanno i compiti da soli, ovvio, e se mi va bene anche il letto e mettono a posto i loro giochi, la sera.
Non sono una cameriera e non mi sento severa, come invece mi sono sentita dire.
Però vedendo lei così convinta mi è venuto un dubbio.
Sono corsa a casa a rileggere il manuale della Tata Lucia sulla scuola e poi ho sottoposto mio marito a interrogatorio.
Questa prima fase è stata confortante, mi sono sentita rassicurata.
Ma la prova del nove l'ho avuta dopo le tredici quando mio figlio è rientrato da scuola in bici, da solo!, e ho interrogato pure lui.
Si è messo a ridere. Non ci credeva che un suo compagno facesse fare i compiti noiosi alla mamma. Gli è sembrata una cosa fuori dal mondo. Bene. Qui le ipotesi sono due.
O ho ragione oppure ho creato un mostro.


Ma, alla fine, chi sono le mamme "nordiche"?
Secondo me sono quelle che cercano di rendere indipendenti i propri figli, che li accompagnano ma che sanno anche lasciarli andare al momento giusto, che impongono regole precise, poche ma buone, ma col sorriso, che ci tengono al mangiar sano e a fare sport all'aria aperta.


Non è facile amare. Amare davvero intendo.
Amare  davvero per me significa essere sempre sinceri con chi si ama, anche se a volte fa male, anche se sarebbe molto più semplice dire "si hai ragione" anche quando non è così, anche quando faremmo molto prima noi a riordinare tutta la casa che non aspettare che un figlio raccolga una maglietta.
"Io i miei figli li aiuto in tutto, più di così non potrei fare".
Ecco prova a fare di meno. Meno ma meglio.
Quando sento queste cose il mio pensiero va, ogni volta, ai tanti, tantissimi uomini che non riescono ad accettare la fine di una relazione con una donna. Lasciando perdere i casi estremi, che purtroppo riempiono la cronaca di questi ultimi anni, sono convinta che ci sia sempre un problema di educazione alla base.
Cosa succede quando mammina non può risolvere il problema al posto loro?


Amare è difficile. E amare davvero significa cercare di educare, ogni giorno, con l'esempio e con le parole.
Non chiamatemi severa però.
Sono solo una che ci prova.
Come tutte voi.
Raffaella
La casa vicino al treno   

venerdì 23 gennaio 2015

Non aver paura dei libri


Questo libro mi è piaciuto fin da subito, fin dal titolo (meraviglioso!), fin dalla copertina.
Poi l'ho aperto ed è cominciata la magia.
Christian Mascheroni è un autore generoso che non ha paura - lui no!- di mettersi a nudo e di raccontarci della vera, poetica, intensa storia d'amore della sua famiglia.
Dell'amore tra i suoi genitori, Eva, la viennese e Gino, il pompiere e di quello profondissimo, a volte leggero come foglia  al vento altre disperato che lo lega a entrambi.
Non ha paura Christian di ripercorrere i corridoi bui della sua infanzia portandoci in dono tutto quello che trova: l'amore immenso per una madre "mangiatrice di vita e di parole" che veniva da lontano e che gli ha insegnato ad accarezzare i libri e a nutrirsene come fossero il più prezioso alimento.
"I libri non potevano essere semplicemente letti: andavano stravolti". Eva, la "lettrice indomabile", ci mostra con il suo esempio quanto la passione per i libri possa essere forte e non avere limiti, lei che rimaneva alzata fino alle quattro del mattino a leggere, lei che i libri "...li indossava, li mangiava, li beveva, li portava a letto". Amore esteso a ogni genere di libro "...a sbirciare volumi di fotografia, libri pop-up, romanzi di premi Pulitzer e Nobel", senza pregiudizi, da Steinbeck a Remarque, dalla Christie a Mann, passando per mille altri ancora.
"Mia madre che aveva paura di tante cose, persino di se stessa, mia madre che di una sola cosa, per certo, non aveva paura".


Sono stata figlia, mentre leggevo questo libro, e mi sono vista mentre fantasticavo sulle storie lette nei miei amati libri, "Piccole donne" davanti a tutti e mentre inventavo i miei primi racconti, le dita macchiate d'inchiostro e il cuore altrove.
Sono stata madre, mentre leggevo questo libro, e mi sono chiesta se riuscirò mai a essere così brava  a trasmettere questa mia passione ai miei bambini, che convivono con i libri fin da quando, piccolissimi, nel lettone accanto a me, mi fissavano incantati con i loro occhi grandi mentre, dopo averli allattati, leggevo fino ad addormentarmi.


Di questo libro vorrete sottolineare tutto, perché ogni parola è stata scelta con cura e posta con attenzione proprio lì dove doveva stare. E vorrete sottolineare tutto fin dall'inizio, anzi da prima ancora, fin dall'introduzione di Chicca Gagliardo, scrittrice e creatrice del blog "Ho un libro in testa" dove Christian Mascheroni ha cominciato a raccontare in frammenti sparsi questa sua storia che poi è diventata un libro.



Mi chiedo sempre, prima di mettermi a scrivere, quale limite non si debba superare. Quando dal piacere del raccontare di se si sconfina nel troppo personale. L'autore qui ci da la sua risposta.
Nulla è troppo personale se raccontato con poesia e delicatezza, con sincerità e passione, con trasporto e infinito amore.
E ci mostra come la vita, quella vera, quella vissuta fino in fondo, senza tirarsi mai indietro, non sia mai tutta bianca o tutta nera ma sia fatta, invece, di mille sfumature diverse dal giallo sole al nero del mare più profondo.   
Ho riso molto, leggendo questo libro e ho pianto tantissimo, anche.
C'è tanta felicità, qui dentro, tantissimo dolore, amore devastante a ogni riga. 
Non voglio dirvi di più di questo racconto che procede per flashback attraverso l'infanzia, l'adolescenza e la giovinezza dell'autore tra Vienna, Appiano Gentile e Lignano Sabbiadoro.
Non voglio togliervi il piacere della scoperta di nessuna delle preziose pagine che lo compongono.
Avevamo "...la stessa necessità di bruciare insieme all'inferno piuttosto che di restare impassibili di fronte alle parole, al senso, alla punteggiatura della vita. Ho un appartamento pieno di libri bruciati, molti dei quali ancora ardenti. Ma non ho paura. Non voglio domare le fiamme."
Leggetelo. Ne vale davvero la pena.
Raffaella
La casa vicino al treno

mercoledì 21 gennaio 2015

La Sacher Torte a modo mio


Da quando ci siamo trasferiti in questa casa, circa quattro anni fa, sono cambiate molte cose.
La piccola Bianca, per esempio. Non aveva ancora due anni ed era tutta occhioni spalancati sul mondo, voglia di scoprire ogni angolo e gambe grassottelle mai ferme.
Suo fratello invece, era già proiettato all'esterno, vacanze da organizzare, compiti da fare, feste e iscrizioni sportive a cui pensare.
Io cercavo di capire come sistemarmi nei nuovi spazi, dove poter allungare una gamba, dove tutte e due. In che modo riarredare la mia vita, dove avrei sistemato le mie passioni, dove i miei sogni ( non mi è mai piaciuto chiuderli in un cassetto, poi c'è il rischio che te ne dimentichi. Preferisco appenderli alle pareti.).
Passavo le giornate a prendere le misure di quello che mi stava a cuore e poi cercavo di fargli spazio, spostando doveri  e priorità.
Di notte sognavo la mia nuova vita, cercavo di prenderci confidenza, di abituarmi a questa nuova felicità poco alla volta.
Non sono mai stata brava con la felicità.
Non ci ero abituata, non mi è mai appartenuta, è sempre stata una condizione che restava ai margini della mia vita di prima. La guardavo con curiosità e sospetto. Nessuno mi aveva mai insegnato a prendermene cura, a farla mia, a coltivarla con amore.
Ero molto più brava con i problemi, con le tragedie, i temporali. 
Sono molto più a mio agio con le tempeste della vita, i deserti infiniti, le gelate e i ghiacciai. Non che non abbia paura, non che sappia che fare, ero solo abituata ad aspettarmeli, li accettavo come scenari inesorabili del mio quotidiano.
Ma torniamo a noi. A quando siamo arrivati qui, quattro anni fa, circa. Allora scrivevo così.


Uno dei piaceri connessi al trasferimento in una nuova casa consiste nell'osservare la vita del nuovo quartiere e quindi quella dei nuovi vicini. Capita, mentre si è in giardino indaffarati a rastrellare le foglie, ad esempio, di alzare la testa e vedere rientrare a casa la propria vicina con le borse della spesa oppure di aprire una finestra per chiudere le persiane e notare la luce accesa in cucina e le sagome dei vicini seduti attorno al tavolo, già pronti per la cena. Si impara a riconoscere il suono del clacson del postino, che non smette finché qualcuno non risponde, o lo sgommare del furgoncino del fornaio, che si ferma in mezzo alla strada giusto il tempo di appendere i sacchetti del pane al cancello e poi via di nuovo, con una veloce inversione, verso altre consegne.
E oltre a questi rumori, insieme a loro, e prima e dopo e dopo ancora lo sfrigolìo delle rotaie al passaggio del treno che da rumore improvviso che fa tremare il tavolo della cucina e mette in allarme diventa poco alla volta suono familiare e sottofondo delle attività quotidiane nella casa vicino al treno.


Noi siamo ripartiti da qui. E per raccontare di noi dovevo fare un passo indietro. E riandare col pensiero a quando una piccola principessa, un bambino saggio, le braccia forti che mi sostengono, cioè mio marito e io siamo arrivati un pò precipitosamente, un triste sabato di giugno in questa casa, non ancora finita, non ancora sistemata, in anticipo su tutti i nostri piani perché un destino più forte di noi aveva deciso così. 
Ma nonostante lo stupore, nonostante il dolore, la confusione e le mille cose da fare eravamo felici. Senza divano, senza mobili nelle camerette dei bambini, con i vestiti negli scatoloni e il cuore piccolo piccolo, eravamo felici.
La prima notte non ho dormito. Non dormo mai la prima notte in una casa nuova. Sono stata sveglia ad ascoltare ogni rumore, ogni scricchiolio, ogni sospiro.
Ho cercato di sintonizzarmi col respiro della casa, con le sue ossa che si allungavano e i suoi muscoli che si stiracchiavano.
Ho provato a respirare assieme a lei. Prima con fatica, poi con sempre maggior sintonia. Ora son quattro anni e più che respiriamo insieme.


E' in questa cucina color avorio che ho imparato a fare i dolci, più per cocciutaggine che per altro, visto che tutti i miei precedenti tentativi erano falliti.
Chi mi conosce sa che amo i contrasti, la luce e il buio, il bianco e il nero, due cose lontanissime tra loro messe una accanto all'altra.
Quindi ora vi racconterò la mia versione della famosa Sacher Torte, quel dolce viennese buonissimo al cioccolato fondente ma in una versione più leggera. 
Quindi Sacher si, ma quasi vegana, senza uova, burro e zucchero bianco; deliziosa, tanto che è diventata il mio dolce per tutte le occasioni, dal compleanno a Natale.

ingredienti:
- 400 gr di cioccolato fondente extra al 70%
- 400 ml di latte ( di soia per i vegani )
- 200 gr di farina "0"
- 100 gr di fecola di patate
- 80 gr di zucchero di canna biologico
- 2/3 di bustina di livito per dolci
- 1 pera matura
- 2 cucchiai di cacao amaro in polvere
- 2 cucchiai di olio di mais
- 2 cucchiai di acqua tiepida
- marmellata di albicocche

procedimento:
Sciogli a bagnomaria 200 gr di cioccolato insieme a 100 ml di latte. Nel frattempo mischia bene tra loro gli elementi secchi: la farina, la fecola, il lievito, lo zucchero. Poi aggiungici la pera schiacciata con una forchetta, 200 ml di latte, il cacao, l'acqua e l'olio.
Impasta tutto bene e aggiungi infine il cioccolato fuso.
Versa il composto nella teglia e cuoci in forno statico preriscaldato a 180° per 30 minuti.
Una volta raffreddata, puoi tagliare la torta a metà con un filo bianco per cucito avvolgendola col filo e tirando poi le due estremità, avendo cura di aver prima tagliato con un coltello affilato i margini per creare un solco dove appoggiare il filo. Solleva poi con delicatezza la parte superiore e spalma quella inferiore di marmellata. Ricopri e non ti preoccupare di tutte le imperfezioni che ci saranno: dopo aver fuso il cioccolato rimanente con il latte, ricoprirai tutta la torta usando una spatola di silicone e lascerai asciugare e poi raffreddare in frigo per qualche ora. Si formerà una deliziosa copertura dura di cioccolato che scrocchierà una volta rotta.

Se siete arrivati fino a qui, grazie.
Raffaella
La casa vicino al treno


   





martedì 13 gennaio 2015

Di scrapbooking e buoni propositi



In questi primi giorni dell'anno mi sento carica e piena di forza.
Sento che, per la prima volta, forse riuscirò a convogliare tutta l'energia che ho, ed è tanta, verso qualcosa di positivo, verso il raggiungimento dei miei obiettivi.
Non necessariamente qualcosa di importante. Sicuramente niente di grandioso. Ma di certo qualcosa di mio. Di autenticamente mio.

Ho scoperto da poco lo scrapbooking.
Il mio amore per i quaderni a righe, li colleziono, e per le carte di ogni tipo ha trovato uno sfogo "artistico" che mi diverte molto.
Ve lo spiego come l'ho capito io, che forse non ha nulla a che vedere con il vero scrapbookig artistico ma che è un modo semplice e divertente di fissare sulla carta i propri ricordi, le proprie idee o, come in questo caso, i buoni propositi per il nuovo anno.
Per cominciare si possono raccogliere materiali di riciclo di vario tipo: carte da regalo, da pacco, scatole di brioches, ritagli di giornale  e tutto quello che colpisce la fantasia.
Io metto tutto in una scatola di scarpe che i miei bambini chiamano "la scatola delle meraviglie" e la custodisco gelosamente vicino al letto.
 Si può prendere poi un piccolo quadernetto e cominciare a formare la "base", ossia incollarvi sopra pezzi di carta velina, ritagli, cartoncino e tutto quello che vi ispira.
Si passa poi a decorare le pagine più nel dettaglio, lasciando per ultimi gli elementi che volete mettere in risalto, come ad esempio le foto se state costruendo un quadernetto con i ricordi di una recente vacanza.

 
Lo scrapbooking è fatto di sovrapposizioni fantasiose e di contrasti; non ha importanza che le varie immagini siano logicamente legate tra loro, possono anche non esserlo e venire accostate per forme, colori o solo perché hanno colpito la nostra fantasia.
 
 
Mentre ero al mare mi è venuta voglia di fissare sulla pagina quelli che sarebbero stai i miei buoni propositi per l'anno che stava per cominciare. Ne è scaturito un elenco di oltre trenta voci, che più che buoni propositi sono ammonimenti a fare alcune cose o a ricercare situazioni di cui spesso mi dimentico o che metto in secondo piano. Invece sono importanti e le vorrò avere ben presenti e sotto agli occhi per tutto l'anno e per questo me le sto scrivendo, divertendomi, appena ho un minuto libero. Magari non mi serviranno - lo spero! - ma magari si, magari ci  saranno dei momenti bui in cui ne avrò bisogno, in cui la gioia sembrerà avermi abbandonato. Allora mi piace pensare che avrò sempre il mio quadernetto da aprire che mi strapperà un sorriso e mi ricorderà quali sono le cose davvero importanti per me.
 
 
Qualcuno ha scritto che bisognerebbe fare ogni giorno qualcosa di diverso. Alcune delle cose che ho scritto, infatti, sono attività che non ho ancora trovato il coraggio di mettere in pratica ma speriamo che questo sia l'anno giusto.
Che questo sia l'Anno. Vi abbraccio forte,
Raffaella
La casa vicino al treno 
 
 
 

venerdì 9 gennaio 2015

"La mia vita" di Agatha Christie

 
"Sono soddisfatta; ho fatto ciò che ho voluto"

Sarebbe assolutamente meraviglioso poter fare un'affermazione simile quando si comincia a entrare in una fase più avanzata della propria vita. Ad Agatha Christie è successo nel 1950 quando, sessantenne, ha incominciato a raccogliere i ricordi della sua vita, unica e avventurosa.
Non ha voluto compiere, però, una precisa ricostruzione cronologica di tutti gli avvenimenti che la riguardavano bensì riunire un insieme di memorie, scelta da lei arbitrariamente. In merito ci dice:
" Ho ricordato quel che volevo ricordare" e "... ciò che desidero è immergere la mano nel sacchetto dei ricordi ed estrarla con una manciata, a caso".

E' un libro gioioso questo.
Pieno di amore per la vita, pieno di sorrisi, di viaggi, di slanci verso l'ignoto, di passioni totalizzanti accolte a braccia  aperte, di ottimismo, di coraggio, di leggerezza.
Nonostante sia diventata una scrittrice famosissima, dopo aver iniziato quasi per caso a diciannove anni, come diversivo a un triste pomeriggio d'inverno, non ha mai perso lo stupore di fronte alla fama e al riconoscimento del pubblico, considerandosi sempre e solo una "casalinga", come faceva scrivere sui suoi documenti.
"(...) Non è forse appassionante l'idea di far parte di qualcosa che sfugge alla nostra comprensione? Mi piace vivere. E capitato anche a me di essere in balia di una profonda disperazione (...) eppure so con certezza pressoché assoluta che essere vivi è una cosa straordinaria".
E' una vita intensa, la sua, pienamente vissuta in tutti i suoi aspetti, dolorosi e gioiosi.
Non si è mai tirata indietro Agatha, si è sempre gettata a capofitto in tutto ciò che ha ritenuto fosse degno della sua attenzione  e non ha mai rinunciato a nulla, nonostante le sconfitte o la paura.
Ha girato il mondo, in un'epoca in cui viaggiare comportava sopportare lunghe traversate oceaniche, corse sulle prime scomode e poco sicure automobili, che lei adorava o romantiche ma disagevoli traversate dell'Europa a bordo del celebre Orient-express.

La ammiro, Agatha. Vorrei avere il suo spirito guerriero e la sua leggerezza, la sua capacità di non soffermarsi troppo sui problemi e sui dolori e di voltare pagina, ogni volta, con immutato entusiasmo.
Tra i tanti pregi di questa scrittrice il principale è certamente la sua ironia che si snoda sinuosa per tutto il libro e che la porta a prendersi gioco degli usi del suo tempo, della società in cui viveva ma soprattutto di sé stessa.
" La morte precoce e l'invalidità erano di casa nel costume sentimentale dell'epoca (...) Nessuna fanciulla sarebbe mai arrivata al punto di confessare che godeva di buona salute (...). Ma a quell'epoca l'estrema sensibilità, gli svenimenti continui e la tisi erano in gran voga".
"Il divano (...) nel periodo vittoriano era lo sfondo indispensabile di ogni malessere, morte precoce o amore con l'A maiuscola. Ho il sospetto, tra l'altro, che molte mogli e madri dell'epoca  ne abbiano sicuramente approfittato per liberarsi da molti obblighi. Una donna vi si rifugiava al volgere della quarantina e vi trascorreva una vita piacevole, accudita in tutto e per tutto, circondata dall'affetto e dalla devozione del consorte e assistita dalle figlie."


Mentre scrivo mi rendo conto che non è per nulla semplice tentare di raccontare più di 300 pagine in poche righe, posso solo cercare di trasmettervi il mio entusiasmo nell'incontrare l'entusiasmo di Agatha e, per tirare le fila, dirvi che questo libro è speciale perché al suo interno si trova:
a. la storia di una vita, lunga, avventurosa e realmente accaduta;
b. la storia di un'epoca. Agatha Christie nasce nel 1890 e termina questa autobiografia nel 1965. Al suo interno troviamo quindi la descrizione dell'epoca vittoriana e delle due guerre mondiali fino agli anni sessanta vissuti per gran parte in Iraq, al seguito del secondo amatissimo marito archeologo.
c. la storia di una vocazione letteraria - la parte che ho amato di più! - di come e perché si è messa a scrivere, delle sue abitudini di scrittura fino alla genesi dei suoi romanzi più famosi e delle loro vicende editoriali.
d. e infine, per fortuna, un'autobiografia che sembra un romanzo perché scritto da una grande scrittrice che sa come usare il  linguaggio, come scrivere i dialoghi e come dosare le sue capacità.

Grazie Agatha. Per avermi ricordato che la vita è bella se vissuta intensamente, guardando in faccia, senza nascondersi, tutto quello che si presenta sul nostro cammino.

Mi sembra ormai di conoscerla, Agatha.
Forse è questo quello che dovrebbe restarci dentro dopo aver letto un grande libro. La malinconica sensazione di aver conosciuto l'autrice, o l'autore, di aver camminato per un tratto con lei e di averla poi guardata allontanarsi, curva e con passo incerto, verso il tramonto.


Ciao, Agatha. Sono sicura che anche dove ti trovi ora te la stai godendo un mondo.
Raffaella
La casa vicino al treno    

mercoledì 7 gennaio 2015

I cercatori di conchiglie

 
Ho scoperto che sono brava a cercare le conchiglie.
L'ho scoperto un giorno, per caso, mentre ero in riva al mare e guardavo distrattamente i miei bambini giocare.
Camminando su sassolini scricchiolanti ho abbassato lo sguardo per un attimo e una piccola forma a spirale avvolta su se stessa ha attratto la mia attenzione.
Un niente profumato di mare, una casetta abbandonata, un piccolo guscio custode di storie antiche, questo è quello che vedo io nelle conchiglie.

Mi piace tutto di questa attività: il rumore dell'onda che si infrange sulla riva, mille sassolini che sbattono tra loro mentre l'onda si ritrae rapidamente e torna al mare, il profumo intenso che ti entra negli occhi, nelle orecchie, nel naso, nella pelle. Il vento che ti avvolge e ti accompagna sempre, e non ti lascia mai sola.

Bisogna guardare attentamente, per trovare le conchiglie, ma soprattutto bisogna aver fiducia, bisogna credere fermamente di trovarle. E non bisogna aver paura di bagnarsi, le scarpe e i pantaloni, anche se l'acqua è fredda e il sole non scalda ancora molto.
Bisogna essere disposti a farsi avvolgere e abbracciare da questa natura in continuo movimento.


Devo confessare che a me piacciono anche i sassi. Se ne trovano di tutti i colori e le forme in riva al mare... piatti, tondi, levigati, a bastoncino.
Questa mia capacità ha incantato i bambini. Le mie quotazioni si sono alzate di molto, dalla prima volta che ho portato loro il mio piccolo bottino. E hanno anche voluto accompagnarmi nella ricerca.

La mia piccola principessa è molto brava o molto fortunata; con una facilità estrema si china a caso sui sassolini - e poi, tutta emozionata, e con un sorriso che contiene tutta la felicità del mondo - si rialza, il braccio in alto, e in mano una conchiglia bellissima.
Mio figlio invece, detto il saggio Tae per le massime filosofiche che ci dispensa, cerca, cade in acqua, si bagna, si distrae... Guarda con invidia la sorellina e si arrabbia, perché a lui proprio la nostra magia non riesce.

Forse ha a che fare con un talento tutto femminile, forse con la pazienza o, forse, con la nostra capacità di vedere in profondità, al di là delle apparenze.
A me, però, piace pensare che si tratti di magia, come quando, nella notte di S. Lorenzo, abbracciata ai miei bambini guardo il cielo piena di aspettative e ogni tanto, all'improvviso, puf, ecco la coda di una stella cadente e la certezza che il mio desiderio diventerà realtà.


Questo è l'augurio che voglio farmi - ed estendere a tutti voi - per questo anno appena nato: aprirmi alla magia, lasciare una porta aperta all'imprevisto, al regalo inatteso, allo stupore.
Aver fiducia nella vita, finalmente, e aspettarsi sempre il meglio.
Stupiscimi, caro 2015, stupiscimi.

Io riparto da qui, da questo blog piccolo piccolo che però è il mio sogno e che cercherò di far crescere con tutta la cura e tutto l'amore di cui sono capace e che terrò al caldo e proteggerò.
Riparto, ricaricata e piena di energia dopo qualche giorno la mare trascorso a perdermi con lo sguardo verso l'infinito, il mare nelle orecchie, i gabbiani a insegnarmi la vita.
Riparto da qui, con tutto quello che ho imparato nell'anno passato, forte di tutti i libri che ho letto, certa che le loro parole mi sosterranno quando ne avrò bisogno, riscaldata dall'amore di chi mi è stato vicino, con tanta voglia di fare e di ricominciare; grata per quello che ho avuto e ancora di più per quello che non ho ancora avuto e che mi impegnerò al massimo per realizzare in questo 2015 che sono certa sarà meraviglioso.
 Ne sono sicura.

 
Felice per tutti i libri che non ho letto e che mi aspettano sul comodino.
Sento i pollici che prudono.
Buon anno di cuore, ci risentiamo venerdì.
Raffaella
La casa vicino al treno