martedì 30 giugno 2015

"Il collo mi fa impazzire" di Nora Ephron


Quand'è, secondo voi, che ci si comincia a preoccupare della propria età? A preoccupare veramente, voglio dire?
Quand'è che ci raggiunge la consapevolezza che una bella fetta di torta della nostra vita, la fetta più spensierata e inconsapevole, più leggera e divertita se n'è andata per sempre?
Forse quando diventiamo genitori?
O quando i trent'anni cominciano ad allontanarsi e, guardandoci indietro, non li vediamo più così vicini?
Ma non scherziamo!
A trent'anni si è giovani, giovanissimi per i parametri italiani - dove la carriera, soprattutto in politica, arriva molto più tardi.
Io ho avuto mia figlia a trentaquattro anni e sebbene non mi sentissi giovanissima quegli anni sono volati tra pappe, che mi sputava in faccia, e notti in bianco, cercando contemporaneamente di dar retta a mio figlio che iniziava le elementari e organizzando, poi, il trasloco nella nuova casa.
Quando sono uscita dalla "trance" i quaranta si stavano paurosamente avvicinando.
Ho cercato di esorcizzarli in tutti i modi: ho cominciato a fare yoga, stretching dei meridiani e i cinque tibetani.
Ho preso lezioni di dizione e lettura teatrale.
Ho cominciato a curarmi solo in modo naturale, con l'omeopatia e lo shiatsu. Mi sono persino iscritta ad un corso di danza classica - le altre avevano tutte diciassette anni! ( Ma dovevate vedermi con i collant rosa carne!).
Ho eliminato lo zucchero bianco, il burro e la carne rossa. Aspiro persino a diventare vegana.
Ma niente da fare! I quarant'anni soon arrivati lo stesso, puntuali per di più.
E, a quel punto, cosa potevo fare?
Li ho accolti con un sorriso a denti stretti e poi ho cercato di ignorarli.
Vi posso in tutta onestà confessare che il giorno in cui si compiono non è che avvenga chissà quale decadimento fisico. Non c'è un crollo totale, insomma, né qual giorno, né quella settimana.
Direi che si tratta piuttosto di un processo degenerativo più globale, di cui forse ti accorgi solo ora.
Quel capello bianco - in realtà ti tingi allegramente da anni, ma mentre prima ti raccontavi che lo facevi per dare più luminosità al colore naturale o per provare tutte le sfumature di rosso esistenti in natura - e non, soprattutto NON - ora sei tristemente consapevole del fatto che lo fai per non sembrare Barbara Bush ( e qui mi può capire solo chi ha una certa età).
Quelle rughe attorno agli occhi, "d'espressione" certo, ma perché la tua espressione non è mai serena come quella del Dalai Lama? Saresti liscissima, in quel caso.
E la mia scoperta più recente: quel filo, diciamo filo, di cellulite sulle cosce, nonostante sia magra in tutto il resto del corpo ( anche troppo). Dicono sia colpa della ritenzione idrica: ho seri dubbi al riguardo visto che sono almeno trent'anni che mangio insipido e che non bevo quasi mai ( questo non andrebbe fatto, ma io non ho sete!). 
Che cavolo si "ritiene" allora nelle mie cosce? Aria fritta?
La verità è che così nasci e così devi morire ( nonostante ti stia ammazzando di yoga, anzi forse morirai proprio di quello).
La notizia positiva però è che, soprattutto se smettiamo di mangiare pesce, tra qualche anno non avremo più la memoria che abbiamo ora, così con ogni probabilità ci dimenticheremo di pomeriggio perché durante la mattina, guardandoci allo specchio, ci sia venuto il malumore. 
Allo stesso tempo ci calerà anche la vista e a quel punto riconoscere tutti i nostri difetti allo specchio non sarà più tanto semplice. 
Dio vede e provvede.
( Ma non per me. Sono miope e ci vedo sempre meglio ogni anno che passa, pur non mettendo quasi mai gli occhiali. Alla faccia di tutti i medici che in quarant'anni mi hanno fatto sentire in colpa se non li portavo sempre).



Tutte queste considerazioni semiserie mi sono venute in mente leggendo il libro che Nora Ephron, famosa regista e sceneggiatrice americana, ha scritto nel 2006, quando aveva sessantacinque anni. Mentre lo leggevo ho pensato che quando un'autrice , o un autore, è GRANDE, sa scegliere le parole e sa metterle in fila, per così dire, può parlare di qualsiasi cosa. Anche di argomenti apparentemente banali ma che ci riguardano tutti. Senza cadere mai nella volgarità.
Leggendolo ho pensato anche a quale grande magia sia la scrittura e che potere grandissimo abbia: quello di far idealmente dialogare me, neo-quarantenne smarrita e sgomenta con Nora, che purtroppo è scomparsa tre anni fa per una leucemia ma che sa farmi sorridere di quello che sto vivendo, lei che l'ha vissuto  prima di me e sa, oh se lo sa, quello di cui scrive. 
Grazie Nora, grazie per la tua sincerità e per il tuo coraggio.



Raffaella
La casa vicino al treno     

    

venerdì 26 giugno 2015

Mezzalune dolci con carote e uvetta


Io non sono di qui.
Questo posto l'ho scelto, quattordici anni fa. 
Neanche mio marito è di qui, ma di un paese vicino. 
Però è qui che volevamo stare.
Per tante ragioni: di comodità, di opportunità, di bellezza.
Qui c'è tutto.
Il lavoro, le scuole, i centri sportivi, il supermercato, gli studi medici. La libreria, la biblioteca, il teatro, le pasticcerie.
Le montagne, il verde, i parchi, il lago.
Sognavo per i miei bambini un posto dove potessero andare a scuola a piedi, senza pericoli.
Mio figlio esce di casa, tuta da ciclista e casco, e va con i suoi amici per i boschi in mountain bike.
Mia figlia esce di casa - con me - e in sette minuti a piedi arriviamo al maneggio, lei che ama i cavalli. Se avessimo voglia di proseguire troveremmo, dopo pochi passi, anche pecore e mucche. 

Sognavo, per me, un posto dove poter girare a piedi per il centro e dove il macellaio e il giornalaio ti conoscono e hanno voglia di fare due chiacchiere, ogni mattina.
Sognavo un posto dove gli unici rumori sotto casa fossero quelli della gente che corre, in bici o a piedi . Qui c'è anche il rumore di qualche solitaria auto che passa ogni tanto, dei cavalli e, a volte, del treno.   

Io non sono di qui.
E non c'è giorno che, guardando fuori dalla mia finestra, il mattino appena sveglia, non ringrazi per quello che vedo. 
E non mi ricordi che non è così scontato vivere nella natura, circondati dalla bellezza. Se non hai la fortuna di nascerci, te la devi andare a cercare.



Ingredienti:
- 100 gr di farina integrale
- 100 gr di farina "0"
- 1 uovo ( più un'altro per la finitura)
- 30 gr di miele
- 30 ml d'olio di mais
- un pizzico di sale
- 350 gr di carote
- 100 gr di zucchero di canna
- 1 limone
- 30 gr di uvetta



Preparazione:
Prima di tutto devi fare la pasta brisée.
Versa le due farine in una ciotola assieme all'olio, al miele, ad un uovo leggermente battuto e al pizzico di sale. Mescola velocemente tra loro tutti gli ingredienti, poi copri con un telo e lascia riposare il composto per almeno mezz'ora.
Nel frattempo puoi preparare il ripieno: lava e pela le carote, grattugiale poi a julienne e mettile in un pentolino, a cui aggiungerai la scorza del limone, 2 cucchiai del suo succo e i 100 gr. di zucchero di canna. Accendi il fuoco e fai andare per circa 30 minuti molto lentamente, mescolando ogni tanto e godendoti il profumo.
Metti intanto l'uvetta a mollo in una ciotola piena d'acqua.
Dopo mezz'ora puoi spegnere il fuoco e lasciare intiepidire, non prima di aver scolato l'uvetta e di averla aggiunta alle carote.
A questo punto anche la tua pasta sarà pronta.  
Infarina il tuo piano di lavoro e stendila sottile con il mattarello. Dovrai ricavare circa dodici cerchi del diametro di 10/11 cm ciascuno. Scegli prima un coppapasta o un bicchiere della misura adatta e usali per ricavare le forme.
Prendi ora un disco per volta e riempilo con il composto di carote e uvetta, poi chiudilo ripiegando il cerchio in due ( formando una mezzaluna) e premi bene i bordi. A questo punto buca con uno stuzzicadenti ciascuna mezzaluna tre o quattro volte.
Se vuoi, puoi spennellare la superficie di ciascun dolcetto con l'altro uovo sbattuto, ma è facoltativo.
Disponili ora tutti su una teglia coperta da carta da forno e falli cuocere per 15 minuti  a 180°.
Buona merenda!



Raffaella
La casa vicino al treno
   

martedì 23 giugno 2015

"Le luci nelle case degli altri" di Chiara Gamberale


Il bellissimo titolo di questo libro mi ha fatto pensare a quelle sere d'estate in cui passeggio per il mio quartiere, con il caldo che sale dall'asfalto, e , passeggiando, mi guardo distrattamente attorno e mi cade l'occhio sulle finestre illuminate che incontro.
Mi è capitato di vedere tante cose: una famiglia che gioca a carte in garage, dove  avevano tolto l'automobile e messo la suo posto un tavolo e quattro sedie. E l'eco delle loro risate.
Una tv accesa che racconta di posti lontani attraverso le finestre spalancate. Un bambino che piange e qualcuno che lo sgrida.
Un cane che abbaia. Quattro chiacchiere in cortile, prima di rincasare.

Di questo libro mi è piaciuta soprattutto l'idea di ambientare la storia in un condominio e di avere come protagonisti gli abitanti dei suoi cinque piani. Man mano che si procede con la lettura, ci si affeziona ai diversi personaggi, ai loro mestieri, alle loro vite complicate, ai loro segreti e persino alle loro bugie, il tutto raccontato con un linguaggio semplice, che è quello di un'adolescente che racconta in prima persona quello che le accade.

Maria, affascinante trentenne amministratrice di condomini e donna carismatica, capace di entrare subito in empatia col prossimo, muore improvvisamente cadendo dal motorino.
I condomini di via Grotta Perfetta 315, che le erano molto affezionati, vengono in possesso di una sua lettera, scritta in ospedale il giorno della nascita della figlia Mandorla, sei anni prima. In questa lettera commovente e profonda  Maria allude al fatto che il padre di Mandorla sia proprio uno degli abitanti quel palazzo rosa e verde, alla periferia sud di Roma. 
In una riunione concitata e molto sentita, la prima senza Maria, le cinque famiglie lì riunite decidono, dopo molte discussioni, di non fare il test del DNA che avrebbe risolto subito il mistero della paternità di Mandorla ma che avrebbe, allo stesso tempo, distrutto per sempre una di quelle famiglie.
Stabiliscono pertanto che Tina Polidoro, signorina sessantanovenne maestra in pensione del primo piano, adotti legalmente la bambina ma che in realtà siano tutti ad occuparsene, a turno.
Mandorla abiterà due anni con ciascuna delle cinque famiglie, salendo - dopo tale periodo - di un piano e avendo la possibilità di conoscerne a fondo gli abitanti.
Noi la seguiremo in tale percorso di crescita personale e di scoperta del mondo che la circonda, tra riflessioni sulla vita, paure tremende, sconcertanti rivelazioni e segreti che rimarranno tali, fino al colpo di scena finale.

Sono tanti gli spunti di riflessione che questo libro è in grado di sollevare, primo tra tutti il ruolo che hanno i genitori nella vita di una persona, la responsabilità che attribuiamo loro anche ben oltre quello che sarebbe il loro compito, la colpa di cui spesso li investiamo dei nostri errori e delle nostre scelte sbagliate, quando invece è sempre dentro di noi che dovremmo guardare e dentro di  noi cambiare, se c'è qualcosa da cambiare.
"E' che non c'è un posto dove si possa portare a riparare l'infanzia", no, purtroppo non c'è, ce la dobbiamo tenere così come l'abbiamo vissuta e cercare di tenerci stretto tutto quello che c'è stato di buono e avere il coraggio di lasciare andare tutto quello che ci ha fatto male.
E andare avanti con la nostra vita, senza guardarci mai indietro, senza dare la colpa a nessuno, semplicemente accettando quello che è stato, perché anche il male è comunque servito a portarci dove siamo arrivati, anche se non ci sembra un granché al momento.
Vi abbraccio stretti e grazie di cuore, se siete arrivati fino a qui.
Raffaella
La casa vicino al treno
   

sabato 20 giugno 2015

Volevo fare la food blogger


Questo non è il mio primo blog.
Prima ne avevo un altro, in cui parlavo "solo" di libri.
Ma mi stava stretto.
A volte mi veniva voglia anche di parlare d'altro. Di me. Di quello che vedevo fuori. Di come lo vedevo.
E poi mi piaceva cucinare.
Non ne sono sempre stata capace.
Non ero una di quelle bambine che passano gran parte della giornata col grembiule e le mani infarinate, ad ascoltare qualcuno che con amore ha voglia di trasmettere loro la propria passione e le proprie capacità.
Mi sarebbe piaciuto.
Ma non è andata così.
A cucinare ho imparato per necessità, piano piano e poco alla volta.
Qualcosa quando sono andata a vivere da sola.
Qualcosa quando è arrivato Pietro.
Ancora un po' quando siamo diventati quattro.
E tanto altro quando ho capito che stare in cucina a trasformare polveri e spezie in qualcosa di buono mi dava serenità e tenere in ordine vasetti e ingredienti era il mio modo di fare ordine dentro di me.

Amavo soprattutto preparare dolci.
Se dare da mangiare a qualcuno è un atto d'amore, preparagli un dolce era per me qualcosa di ancora più grande, una coccola infinita. 
E allora ho passato mesi a sciogliere il burro a fuoco lento, a montare uova con le fruste elettriche, a pesare zucchero e farina, a tritare cioccolato fondente con il coltello e a sbucciare mele.
La casa (vicino al treno, of course) profumava sempre di buono, di vaniglia, cioccolato o di mele e cannella.
C'era sempre qualcosa di dolce che cuoceva nel forno.
Anche d'estate.
Ricordo torte sfornate di sera tardi e pomeriggi d'estate chiusa in cucina col forno acceso, che appena potevo scappavo all'ombra, in giardino, sudata fradicia.
Ricordo un ferragosto dove ho preparato, per un barbecue tra amici, sei diversi tipi di cupcakes.
Era il periodo dei dolci americani e del cake design, che ho cercato di imparare da autodidatta, con libri e fascicoli, e che ho amato tantissimo perché metteva insieme la mia nuova passione per i dolci con quella più antica per la decorazione.
Ricordo una festa della donna, dove mi sono presentata ad una cena con un crumble di mele decorato con bucce di mela imburrate che sembravano roselline, un vassoio di biscotti alla vaniglia, piccoli come monete ma ciscuno con un ciuffo di glassa colorata in cima e i brownies.
Un lavoro di due giorni.


In quel periodo avrei tanto voluto fare la pasticcera.
A modo mio, come sempre. Quello del pasticcere mi sembrava il lavoro più bello del mondo e i pasticceri  i sembravano sempre felici. 
Ricordo la comunione di Pietro, una torta col fiocco e le bomboniere fatte di biscotti, ognuno simboleggiante una sua passione.
Ricordo i biscotti per Halloween e quelli a cuore per S.Valentino.
Ricordo un esperimento prima di partire per il mare e biscotti con la glassa colorata mangiati in spiaggia, per giorni e giorni.
Una torta con le ciliegie e un'altra con i fichi. Finalmente la ricetta della torta cioccolato e pere, quella definitiva. Perfetta.
Una crostata con i cuori per l'asilo.
Una torta piccola, a strati, con la crema, per il compleanno della mia migliore amica.
Studiavo i grandi pasticceri, Peggy Porschen soprattutto, di cui adoro lo stile floreale e pastellato.


E intanto ho cercato di imparare a fotografarli, questi dolci.
E ho aperto una pagina facebook dove condividevo le foto. 
Da lì mi è venuta voglia di condividere anche le ricette ma per quello ci voleva un blog. Così l'anno scorso, in primavera, ho seguito un corso per food blogger , mi sono divertita e per la prova finale ho scritto il post che potete leggere anche qui, "I cercatori di conchiglie", a cui ho fatto seguire la ricetta dello spezzatino di pesce spada, uno dei miei "classici" estivi.
Ho letto molti libri sull'argomento e tanti romanzi con il cibo per protagonista, alcuni bellissimi, di cui credo vi parlerò a breve.
Comunque.
Ho trascorso parte dell'estate a leggere e a studiare testi di food writing in inglese, perché purtroppo alcuni testi fondamentali non sono ancora stati tradotti. E, data la mia scarsa conoscenza della lingua, è stata un'impresa titanica - infatti non li ho ancora finiti!
Avrei dovuto partire a settembre col blog ma i miei bimbi iniziavano entrambi una nuova scuola e avevano tanto bisogno di me. Quando mi sono decisa eravamo già a novembre e il  mio sognato food blog stava già diventando un'altra cosa.


Io nel frattempo avevo cambiato alimentazione (del perché e di cosa mangio ora ho già scritto in un altro post, " La torta di mele e i piedi nudi sull'erba") e non ce la facevo più a preparare quei dolci pieni di zucchero bianco e burro. C'era il progetto di un blog a quattro mani con un'amica, che però ha deciso di continuare a lavorare a tempo pieno e ovviamente non ha tempo per altro.
Così alla fine è nato, il mio piccolo blog, diverso da tutto quello che avevo deciso e immaginato. Diverso anche nel nome. 
Gli ho dato il nome che avrei voluto dare a un romanzo, se mai avessi avuto il coraggio di scriverlo, un romanzo che cominciava col trasferimento di una cittadina (milanese!) in un piccolo paesino di montagna. Chissà.


Cosa ne sarà del mio piccolo blog e cosa diventerà non saprei proprio dirlo. Questo era solo per raccontarvi da dove viene e quale passione e impegno c'è dietro. 
Quando scrivo una ricetta non è mai tanto per fare ( come anche quando scrivo qualsiasi altra cosa). Dietro c'è tanto amore. 
Ho trovato una ricetta, l'ho provata svariate volte, l'ho cambiata e trasformata per poter usare ingredienti biologici e sani, l'ho assaggiata e fotografata e, alla fine, se mi piace, ve l'ho proposta.
E se qualcuno fosse davvero arrivato a leggere fino alla fine lo abbraccerei, ma stretto stretto.
Raffaella
La casa vicino al treno     
        




lunedì 15 giugno 2015

Agata De Gotici e il fantasma del topo, Chris Riddell


Romanzo pieno zeppo di citazioni letterarie, da Mary Poppins a Jane Eyre, da Peter Pan a Frankenstein di Mary Shelley, da Alice di Lewis Carroll a Shakespeare, questo libro è notevole anche per le splendide illustrazioni che accompagnano per mano il lettore ( più o meno giovane) durante tutto lo svolgimento della trama, sottolineando e aggiungendo significati alla storia.


Agata  è la giovane figlia dell'eccentrico e ricco lord De Gotici, un poeta ciclista, che vive nascosto nel suo enorme Palazzo di Gorgonza coi Grilli, dopo la scomparsa della moglie.
Partenope, bellissima funambola di Salonicco, è infatti precipitata in una notte di temporale mentre si esercitava sul tetto, quando Agata era ancora molto piccola. Da allora Lord De Gotici limita al massimo i contatti con la figlia, che con i suoi occhi azzurri e i suoi ricci neri gli ricorda troppo dolorosamente l'amatissima moglie. 
Per questo la obbliga ad indossare degli scarponi chiodati, per sapere sempre dove si trova e poterla così facilmente evitare.
Una sera però Agata scorge nella sua camera il fantasma di un topo, Ismaele ( vi ricorda qualcosa?) che la convince ad andare, attraverso le innumerevoli stanza del palazzo, alla ricerca della trappola che l'ha ucciso per evitare la stessa fine ad altri topolini innocenti. E tra un giro notturno del palazzo e l'altro, Agata incontrerà starni personaggi e  troverà finalmente degli amici che la faranno sentire meno sola, riuniti nel Club della Soffitta, con i quali risolverà un mistero.


Ho adorato l'immenso palazzo di Gorgonza coi Grilli, talmente immenso da aver bisogno di un guardacaccia degli interni, con i suoi lunghissimi corridoi, le stanze enormi, le gallerie disseminate da ritratti degli antenati e le cucine, regno della terribile signora Pocoboni, creatrice della rinomata "gelatina di zampa di rinoceronte con sformato di lontra marina in riduzione di lacrime di sguattera". 
Dopo aver tanto amato Harry Potter e il mondo creato attorno a lui dalla Rowling non credevo di poter apprezzare l'ambientazione di altri romanzi per ragazzi, invece mi sono dovuta ricredere. Questo è molto credibile, nella sua assurdità, e molto divertente. Avevo voglia di farci un giro, in questo palazzo. Soprattutto ieri, una domenica di buio e pioggia a dirotto, ci sarei andata volentieri, con i miei bambini, in avanscoperta. Ci saremmo stretti l'impermeabile in vita, stivali di gomma ai piedi e un cappello sulla testa, l'ombrello no, che ci impedisce i movimenti. E se poi avessimo dovuto scappare all'improvviso, inseguiti dal guardacaccia Maltraversi, indispettito dalla nostra presenza? O ci fossimo scontrati per errore con l'Esploratore Polare, dal viso bianco cadaverico e dalla lunga  cicatrice sulla fronte? O se l'albatros gigante  avesse deciso di farci uno scherzo? Di sicuro avrei voluto conoscere Lucri Borgia, la nuova governante di Agata e sarei andata a curiosare nel giardino degli gnomi alpini.
Sarebbe stata una domenica fantastica!


Leggere questo libro vi farà immergere in un'atmosfera spettrale e avventurosa, cupa e  divertente come solo tornando bambini è possibile fare.
Bello, bello, bello! Consigliato dai dieci anni in su, senza limiti massimi.
Buon proseguimento di settimana, che francamente peggio sarebbe anche difficile. Vi abbraccio,
Raffaella
La casa vicino al treno  


lunedì 8 giugno 2015

Tu la conosci Anne Tyler?


Quest'inverno mi è stata detta una frase che suonava più o meno così: I classici sono quei libri che o uno ha letto o deve far finta di aver letto. Me l'ha detta un redattore durante la lezione conclusiva di un corso di scrittura creativa per bambini, dopo che avevo ammesso di non aver letto non so quale classico, forse "L'isola del tesoro".
Chissà che faccia avrò fatto, via Skype, sentendo quella frase.

Non ho nessuna intenzione di far finta di aver letto libri che non ho letto. Probabilmente è necessario nel suo mondo.
Nel mio, invece, è necessaria la sincerità. Sempre.


Questo per dire che Anne Tyler la conoscevo, certo.
Mi è capitato diverse volte di leggere recensioni di sue opere. Però, finora, non avevo mai letto un suo libro.
"Per puro caso" è stato il primo.
Mi sono ritrovata, passeggiando in  biblioteca, davanti al suo scaffale e, tra i tanti, ho scelto quest'opera del 1995, perché in copertina c'era una frase di Roddy Doyle - uno scrittore che amo - che diceva: "il suo libro più bello".
Non so se Roddy Doyle abbia ragione, ne ho letto solo uno finora, ma so per certo che questo libro è magnifico.


Delia ha quarant'anni, è moglie di un medico molto più anziano di lei a cui fa da segretaria, e madre di tre figli ormai grandi.
La sua vita a Baltimora scorre rapida come su binari ben oliati, sempre uguale, un giorno dopo l'altro.
Fino a quando, un sabato mattina come tanti, mentre è al supermercato a fare la spesa, viene avvicinata da un affascinante trentenne che le chiede di fingersi la sua fidanzata per inscenare una finta relazione davanti alla ex moglie, anch'essa lì per caso.
Delia acconsente, pur sentendosi inadeguata e fuori posto.
Si rincontreranno, sempre per caso, tempo dopo e tra loro nascerà una tenera amicizia, che forse sarebbe potuta anche diventare qualcosa di più. Forse. E questo potrebbe essere un motivo.
Un altro potrebbe invece essere la mancanza del padre, al quale Delia era molto legata, morto da pochi mesi, che non ha ancora voluto o saputo piangere. O i figli che diventano grandi e si allontanano - inevitabilmente - ogni giorno di più, diventando critici e inafferrabili.
Oppure la consapevolezza, che la colpisce con estrema chiarezza una sera, che Sam l'abbia sposata solo per convenienza, per ereditare la casa e lo studio medico del padre, e che avrebbe allo stesso modo potuto sposare indifferentemente una delle sue due sorelle. 
Sono tante le ragioni, se le andiamo a cercare una ad una con attenzione, all'interno di un lungo matrimonio, che possono aver spinto Delia, una mattina di giugno, a fare quello che ha fatto.
E cioè ad allontanarsi  a piedi, dalla spiaggia, in costume e  accappatoio, senza dire niente, nell'indifferenza dei suoi cari.
Torna  alla casa affittata per le vacanze ma da lì, senza pensarci troppo, accetta un passaggio da uno sconosciuto e si fa portare a Bay Borought, cittadina a due ore di distanza da Baltimora.
Qui prova a ricostruire la sua vita, trovando un lavoro e nuove amicizie. 
Ma è davvero possibile mettere il passato in un angolo e fingere che non esista? Lasciarlo semplicemente lì e guardare da un'altra parte?


La Tyler è maestra nel cogliere e nel saper descrivere i sentimenti e le emozioni più intimi e privati di tutti noi, con le loro mille sfaccettature e complessità. E' impossibile non identificarsi nei suoi personaggi, al punto che si arriva a pensare come loro.     
Gli avvenimenti della loro vita ci sorprendono e ci colpiscono come sorprendono e colpiscono loro, con la stessa forza e intensità.
Questa è inoltre, senza dubbio,l l'analisi più profonda, complessa e realistica di un matrimonio che mi sia mai capitato di leggere ultimamente.
E poi, che ha più bisogno di leggere trattati scientifici o psicologici sull'argomento: c'è già la letteratura, non serve altro.


Ogni volta che scopro una nuova scrittrice - anche scrittori ma in genere sento un'affinità maggiore con le scrittrici - sono FELICE.
Il pensiero di tutti quei libri che ancora non ho letto, di tutte quelle ore da trascorrere in gioiosa compagnia, di tutte le vite nelle quali mi posso tuffare comodamente allungata sulla mia sdraio, di tutto quello che posso imparare...
E parte delle gioia sta nel condividere la scoperta con altri.
Se anche a solo una persona venisse la voglia, dopo aver letto questo post, di cercare un libro della Tyler ( e magari volesse anche dirmelo) la mia felicità sarebbe completa.
Per ora mi accontento del ricordo di questi personaggi così veri, ripensando al finale che purtroppo non posso raccontarvi ma che all'inizio ho rifiutato e poi, pian piano, ho compreso e accettato fino in fondo.

Raffaella
La casa vicino al treno 

mercoledì 3 giugno 2015

Come sopravvivere alla Cresima e vivere felici

Ovvero decalogo semi-serio su come affrontare al meglio l'organizzazione di un ricevimento in casa propria e altri eventi altrettanto preoccupanti.



1) Semplifica: 
Non mi piacciono le bomboniere.
Per la Comunione di Pietro avevo fatto dei biscotti ricoperti di pasta di zucchero, chiusi in sacchetti trasparenti con un bel nastro a pois. Mi sono costati diversi giorni di lavoro.
Sommati al tragico venerdì, il giorno prima della cerimonia, che ho trascorso TUTTO in cucina a preparare dolci, ne viene fuori una settimana di fatica titanica.
Mai più.
Con la Cresima ho elaborato la prima regola. Niente bomboniere.
Solo piatti carini sparsi per la casa pieni di confetti bianche alla mandorla, quelli classici, e altri bianchi ripieni di frutta ( pare siano molto cool).
Niente ristoranti. Solo una bella merenda in giardino ( o sul terrazzo o sul balcone), se, come nel nostro caso, la cerimonia si svolge alle 15,30.



2) Chiedi aiuto: 
Non possiamo fare tutto da soli.
O forse possiamo ma a rischio di un esaurimento.
Bisogna, in questi casi, imparare  a delegare.
E io delego tantissimo. Sono la Regina della delega.
Immaginatemi pure con un ampio cappello di paglia mentre do ordini a mio marito su dove sistemare sedie e tavoli.
Tua cognata si offre di cucinare qualcosa? E' la benvenuta!
Se poi avete una zia arredatrice e organizzatrice di eventi come la mia, con tanta voglia di fare, che viene volentieri ad addobbare il giardino e vi presta pure le scarpe, bé.. siete a cavallo.



3) Cerca, per quanto ti è possibile, di essere TE STESSA:
Ovvero non farti fuorviare da suocere che ti vorrebbero in tailleur abbottonato fino al mento, da cognate che storcono il naso davanti alla tue torte chiedendo dov'è quella con la panna montata e soprattutto da chi ti chiede le bomboniere. Resisti!
Sii te stessa, fai le cose a modo tuo, non ascoltare nessuno.
Questi i buoni propositi che mi ero prefissata prima dell'evento. In realtà le cose sono andate in modo diverso.
Avrei voluto dare un'impronta più salutista e bio al rinfresco. Tipo un dolce in più vegano ( ho fatto il plumcake mele e cannella di cui ho parlato nel post precedente, buonissimo!), the verde e succo di mela da bere. Non l'ho fatto.
Avrei voluto scrivere a mano tante etichette con i nomi dei cibi e delle bevande e avrei voluto attaccarli qui e là con washi tape a righe e  a pois. Non l'ho fatto.
Avrei voluto contrapporre il giusto ma di qualità al tanto ma non tanto salutare. Ma qui torniamo al punto 2.
Se chiedi aiuto, poi impara ad accettarlo e non ti lamentare troppo ( solo un pò!) se non viene fatto tutto come avresti voluto.
E io in questo non sono brava per niente.



4) Pensa positivo: 
Ci sarà il sole. Ci sarà una temperatura gradevole.
( Non credere mai alle previsioni del tempo!).
Troverò posto in Chiesa. Un posto ampio.
Dietro a una coppia di amici. Sarà una cerimonia bellissima.
Il tempo scorrerà veloce e non avrò tempo per altri pensieri.
E difatti è stato tutto così.
Il pensiero positivo funziona sempre, sempre!



5) La perfezione non esiste:
A me non è mai venuto in mente ma se tu fossi una di quelle persone convinte di poter fare sempre tutto in modo impeccabile, bé, ricrediti. Ci sarà sempre qualcosa che è sfuggito al tuo controllo. A volte un dettaglio, a volte un intero menù.
Impara ad accettarlo.

6) Divertiti! 
Sorridi tanto, va sempre bene.

7) Concentrati su quello che conta davvero:
Il sacramento religioso. Tutto il resto è superfluo.
E tuo figlio, o figlia. Che ha quasi dodici anni e tra un po' smetterà di darti retta e di dimostrare il minimo interesse per le feste che organizzi. 



8) Rilassati:  
E' il momento di mettere in pratica tutto quello che hai imparato in questi quattro anni di più o meno assidua pratica dello yoga, shiatsu, stretching dei meridiani e cinque tibetani.
Tirati, allungati, stiracchiati, protenditi, innalzati, stenditi, sollevati.
Ma poi smetti e respira. Respira. 
E ricordati di continuare  a respirare per tutto il pomeriggio.



9) Vivi il presente: 
Non cedere alla tentazione di pensare al domani, a quando dovrai smontare tutto, lavare e mettere via tutte le ciotole e le alzatine e , sopratutto, fregare per bene il pavimento dove stanno scorrazzando sette bambini con bibite in mano e pezzi di torta che spuntano dalla bocca. Non ci pensare.
Dopotutto...domani è un altro giorno, come diceva una che se ne intendeva.

10) E infine: Congratulati con te stessa
Ce l'hai fatta anche questa volta anche se - date le premesse - non era affatto scontato. E fai pace con tutto quello che avresti voluto fare e non sei riuscita a realizzare. 
E' andata così, ed è andata molto bene.



Vi abbraccio fortissimo.
Raffaella
La casa vicino al treno