martedì 29 settembre 2015

"Il richiamo del cuculo" di Robert Galbraith




Questa volta sono di parte.
Assolutamente di parte.
J. K. Rowling è una delle mie scrittrici preferite.
Non solo mi piace, sono innamorata pazza della sua scrittura e del mondo che ha saputo creare attorno al suo personaggio più famoso, Harry Potter.
Ho intenzione di rileggere tutti e sette i suoi volumi ( per ora sono al quarto) assieme a mio figlio, sognando una prossima vacanza in Scozia. 
Ho letto anche il suo primo romanzo "per adulti", "Il seggio vacante", che mi è piaciuto molto - e di questo credo che ve ne parlerò a breve - .
Ma qui c'è un problema.
Questo è un romanzo giallo. E io non sono tipo da gialli.
Mi immedesimo troppo, quando leggo, e mi spavento.
E non mi va di avere degli incubi, la notte, così evito proprio il genere. Tranne qualche eccezione.
Vedi Agatha Christie. Vedi Stephen King.
E vedi la Rowling.


In questo romanzo facciamo, per la prima volta, la conoscenza di Cormoran Strike, l'investigatore privato, con un passato da militare in Afganistan, cui toccherà indagare sulla morte della bellissima modella Lula Landry, apparentemente suicidatasi gettandosi dal suo balcone in pieno centro a Londra.
E' un personaggio a tutto tondo, Strike, con un passato ingombrante che spesso torna a tormentarlo, un presente incerto ma sorretto da una tenace determinazione a trovare la verità e dalla capacità di riuscirci. 
In questo compito Strike sarà affiancato dalla giovane Robin, efficiente e creativa segretaria, innamorata del lavoro investigativo e decisa a farsi assumere indeterminatamente da Cormoran.
Gran parte del fascino di questo romanzo va senza dubbio attribuito all'ambientazione, alla Londra che la Rowling ben conosce, con i suoi pub, le sue eleganti vie del centro, il traffico e i lavori stradali infiniti, le boutique esclusive. Qui, in particolare, vengono accesi i riflettori sul mondo della moda, fatto di stilisti, modelle, truccatori, autisti e paparazzi e il giudizio che ne viene fuori non è molto positivo. Lula, in sostanza, era sola e nessuno ha saputo starle vicino e proteggerla, né la famiglia, che si vantava della sua fama come di un bel gioiello antico, né i suoi amici, che cercavano di sfruttarla come meglio potevano. 


Della scrittura della signora Rowling c'è poco da dire. 
Scorrevole, precisa, efficace, mai un inciampo o un aggettivo fuori posto. 
La lettura di questo romanzo è riuscita davvero ad allontanarmi da tutti i miei pensieri  e a catapultarmi in un altro luogo e in un altro tempo, risvegliando la criminologa che c'è in me.
Forse il fatto che abbia indovinato l'assassino quasi fin da subito non depone  a favore della complessità della trama; in realtà un conto è immaginare un possibile ( e probabile) colpevole, un altro comprendere le motivazioni profonde che spingono un personaggio ad agire in un determinato modo.
Ve lo consiglio, con il cuore.
Buon martedì di inizio autunno, di cielo coperto e aria fresca.
Raffaella
La casa vicino al treno

giovedì 24 settembre 2015

Ricette dal passato - La torta di mele rovesciata


Ieri ho fatto due torte.
Era da tanto che non capitava.
Da prima dell'estate, almeno. Da molto prima, credo.
Ne ho fatte due perché ieri era il giorno del dodicesimo compleanno di Pietro e non ero sicura quale torta avrebbe preferito.
Ne ho fatte due perché, da quando mi sono convertita ai dolci vegani, avevo completamente messo da parte il mio vecchio quaderno di carta a mano, pieno di ricette pescate qua e là nei libri di cucina e nel web, che invece i miei bambini amavano molto. Sono dovuta  andare in taverna per trovarlo, nascosto sotto una pila di giornali.
E ho trovato, tra le sue pagine macchiate, tante ricette interessanti di cui non mi ricordavo più.
Pensavo che non sarei più stata capace di fare quello che facevo qualche anno fa. Invece mi sono ricordata tutto.
Come si scioglie il burro a bagnomaria, come si mentano gli albumi a neve, come si taglia sottile la frutta per creare un decoro.
Come si mescola con la spatola mentre si aggiunge la meringa all'impasto, facendo attenzione a non smontarla, come deve essere dorata la superficie per essere ben cotta, come fare a capire se la torta è pronta davvero.
Mi sono ricordata tutto, anche della sensazione di serenità e pace che provo ogni volta che mi metto a preparare una torta. 
E ho deciso che non posso più fare a meno di questo, non posso più fare a meno di fare, il più possibile, le cose che mi fanno stare bene, anche se ho poco tempo e sono sempre di corsa. Lo dobbiamo a noi stessi, cercare, ogni giorno, di essere almeno un pochino felici. Questa torta è stato il mio pezzettino di felicità di oggi. 
  
Delle due, per ora vi propongo quella più vicina ai miei gusti e agli ingredienti che uso di solito. E' una vecchia ricetta di Benedetta Parodi ( ebbene si, ho imparato seguendo lei) ma rivisitata da me.



ingredienti:
- 2 mele
- 200 gr di farina 00 ( o 100 gr di "00" e 100 gr di integrale)
- 100 gr di miele
- 100 gr di zucchero di canna
- 1 cucchiaino di lievito
- 1 cucchiaino di cannella
- 150 ml di latte
- 100 gr di burro
- un pizzico di sale



preparazione:
Sciogli il burro a bagnomaria assieme al miele, poi fallo raffreddare e mettilo da parte. Intanto mescola in una ciotola la farina con il lievito, la cannella e il sale. Aggiungi prima il latte e poi il burro, mescolando il tutto con una frusta elettrica.
Aggiungi infine lo zucchero e una mela tagliata a tocchetti piccoli.
A questo punto il tuo impasto è pronto. Prima di versarlo imburra la tortiera, cospargi il fondo di zucchero di canna e disponi l'altra mela, tagliata a fettine sottili, secondo il tuo gusto, cercando di creare un disegno gradevole. 
Versaci sopra l'impasto e cuoci per 40 minuti a 180°.
Una volta fredda, rovesciala.



La ricetta originale prevedeva le pere ma secondo me è buona, in questa stagione, anche con le prugne.
Buona merenda,

Raffaella
La casa vicino al treno



lunedì 21 settembre 2015

"Chi manda le onde" di Fabio Genovesi


Ho letto questo libro al mare.
Ci ho messo più del solito perché, impegnata a fare quello che ho fatto - vedi post precedente - leggevo solo la sera e dopo pranzo.
Ci ho messo più del solito a leggerlo perché, ogni capitolo costituisce un'unità completa in se stessa, come una scena di un film. Alla fine del capitolo, invece del desiderio di correre a leggere il resto, per un bisogno di saperne di più che spesso un buon libro porta con sé, io chiudevo il libro e, quasi sempre, pensavo: perfetto.
Non c'è null'altro da aggiungere. L'autore ha detto quello che doveva dire e lo ha detto alla grande. Mi veniva voglia, ogni volta, di fargli i complimenti.
E sentivo la necessità di rimanere un po' con le sensazioni che la lettura di quel capitolo aveva suscitato in me.Ancora un po'. Fino alla prossima sessione di lettura.
( In particolare "Ma figurati se la chiamo Luna" è un vero capolavoro, un romanzo nel romanzo).

Forse l'ho già scritto per altri libri ma qui si ride e si sorride di continuo e si piange - tantissimo! - e non nel finale.
Ci si riconosce nei personaggi strani e meravigliosi che Genovesi ci presenta, ci si specchia nei loro difetti e nelle loro debolezze e in quel senso di alienazione che spesso ci portiamo dentro. 
Si finisce per conoscerli a fondo, questi sgangherati, improbabili e proprio per questo così veri personaggi, e alla fine non si può che voler loro bene, anche a uno come Ferro, che alla prima occhiata lo manderesti a quel paese o a Marino, con tutti i fallimenti della sua vita.

 La bella Serena, i figli Luca e Luna, Sandro, sconclusionato quarantenne con gli amici Marino e Rambo, Ferro, bagnino in pensione con il nipote acquisito Zot, che viene da Chernobyl: una manciata di vite prese a caso, in un posto a caso, Forte dei Marmi, ma lontano dall'estate, quando in giro non c'è nessuno e per passare il tempo ti devi inventare qualcosa.
Ma la vita ha già deciso per loro e quando rovescia sulle loro teste le sue onde tremende ciascuno reagisce come può, facendo finta di andare avanti o chiudendosi in se stesso, aggrappandosi a un sogno o guardando la vita con cinismo. Ma nessuno si salva da solo ed sarà proprio l'amicizia e il sostegno reciproco che li terrà a galla e, come i pesci, li farà stare con il muso verso la corrente, verso tutto quello che può arrivare, di buono e di cattivo, senza voltarsi mai.

Ho adorato l'uso sapiente del punto di vista che fa qui Genovesi.
Il romanzo alterna, infatti, la prima persona quando a parlare è Luna; la seconda quando incontriamo Serena ( e quel "tu Serena" non me lo posso più scordare) e la terza, nella descrizione degli altri personaggi, in un'alternanza che non stanca mai e permette di capire immediatamente, dalle prime righe, di che si sta parlando.
Bellissimi i dialoghi, infarciti di modi di dire ed espressioni prese dal dialetto, che conferiscono , se ce ne fosse bisogno, ulteriore vitalità ai personaggi meravigliosamente descritti, vivi anche per quella capacità di introspezione psicologica che certo non manca all'autore. Genovesi è credibile sia quando ci racconta dei tre amici quarantenni, sia quando si mette nei panni di una tredicenne quanto in quelli della madre.


Dopo aver chiuso il libro mi ha colto un grande senso di perdita. 
Mi mancavano. Mi mancano. Tanto.
Avrei voluto tantissimo trascorrere tutta la mia estate al mare in loro compagnia. Non è stato possibile, ma li ho portati dentro di me comunque.

E vorrei lasciarvi con due citazioni: 
"Siamo tutti normali, finché non ci conosci abbastanza".

"(...) lo trattano così male, poveraccio." "Ma chi"
"Lo spazzacamino. Ma perché lo trattano così?"
"Perché è nero (...)"
"Vabbè, ho capito, ma a me mi stanno lontani perché sono tutta bianca. Come deve essere uno per piacere alla gente?" (...)
"Sai Luna, mi sa che a questo mondo, se vuoi piacere alla gente, devi essere grigio come loro. Noi non siamo grigi, e ce la fanno pagare ogni giorno".

Buona lettura,
Raffaella
La casa vicino al treno





mercoledì 16 settembre 2015

Ritorno a casa


Avevo immaginato un'estate diversa.
Saremmo dovuti andare al mare ma in un posto nuovo, magari in un villaggio.
Poi, però, il caldo assurdo di quest'estate ha fiaccato la mia voglia di fare e di organizzare.
E così, come ogni anno, ci siamo ritrovati in Liguria, stessa spiaggia, stesso mare.
Ci abbiamo messo una settimana buona per riprenderci, per ricominciare ad uscire, passeggiare, nuotare. Per ricominciare ad apprezzare un tramonto, i gabbiani, la compagnia degli amici.
La seconda settimana è stata caldissima e se n'è andata via veloce tra tuffi e giochi in spiaggia - loro - ricerca spasmodica dell'ombra e di ogni più piccolo alito di vento - io.
La terza abbiamo avuto ospiti, poi erano gli ultimi giorni per mio marito e sono anch'essi volati con intense giornate in spiaggia.

In breve: cos'ho fatto quest'estate? Niente.
Non un viaggio in un posto sconosciuto, non la conoscenza di persone nuove, nessuna gita.
Però ho osservato, tanto.
Ho guardato il mare, per ore. 
Da casa, dalla spiaggia, dalla strada. 
Ho ascoltato la musica ritmica del suo respiro eterno.
Ho imparato a riconoscere i venti, dal loro primo apparire, poco più che un refolo sulla pelle, fino alla loro forza violenta, che strapazza tutto quello che trova sulla sua strada.
Mi sono fatta maltrattare da un Libeccio incattivito e mi sono stretta forte nell'asciugamano, quando si levava il Maestrale.
Ho guardato cieli di ogni tipo cambiare velocemente davanti ai  miei occhi. Ho visto buffe nuvolette sospese sul mare e tre arcobaleni. Ho visto grosse nubi cariche di pioggia avanzare lente dalla montagna. 
Ho osservato i gabbiani e ho amato il loro planare attraverso le correnti, immobili, senza sbattere le ali e ho avuto la grande fortuna di vederne uno che mi è passato in volo sopra la testa con un pesce nel becco, seguito da altri due che lo chiamavano a gran voce.
Ho vissuto momenti di fusione con la natura, abbracciata dal mare, accarezzata dal vento, illuminata dal sole,massaggiata dalla sabbia, intrattenuta dai gabbiani, distratta dalle nuvole, divertita dai pesciolini che mi guizzavano accanto.
Non ho fatto niente. 
Proprio quello che non riesco mai a fare durante l'anno, tra una corsa e l'altra dietro ai miei bambini ( questa volta correvano da soli, io li guardavo da lontano).
Passato un primo momento di ansia - oddio non ho fatto niente, ma proprio niente quest'anno - se dovessi fare un bilancio, direi che sono partita completamente a terra e sono tornata piena di energia. E non mi sembra un risultato da poco.

In questo momento, mentre scrivo, se guardo fuori dalla finestra vedo solo verde. Di tutte le sfumature, chiaro, scuro, brillante.
Un verde intenso e pulsante bagnato dalla pioggia.
Questa è la mia casa ed è qui che voglio vivere.
La vera vacanza, per me, comincia ora.
Buona continuazione di giornata, vi abbraccio.
Raffaella
La casa vicino al treno