mercoledì 13 maggio 2015

Elena e il cammino di Santiago


Elena è una delle persone più coraggiose che conosca.
E la cosa meravigliosa è che non lo sa.
E se glielo dico non mi crede.
Invece coraggiosa lo è davvero.
La vita l'ha messa  alla prova in tante occasioni e lei l'ha sempre affrontata guardandola dritto negli occhi.
Non si è mai tirata indietro anche quando avrebbe tanto voluto farlo.


L'anno scorso, alla vigilia di un compleanno importante, ha deciso di intraprendere un pellegrinaggio per ringraziare per tutto quello che aveva vissuto sino ad allora e per la forza immensa che la fede ha saputo trasmetterle in questi ultimi anni, anni difficili in cui è rimasta orfana e ha dovuto riorganizzare tutta la sua vita.
Nella fede ha trovato le risposte, quelle che cercava quando, in piena notte, si svegliava sudata e tremante, nessuno a cui aggrapparsi e la sensazione di affogare.
La fede l'ha riportata a galla e le ha indicato la riva.
Da qui la volontà di affidare al Signore il resto della sua vita con un gesto simbolico e fortemente sentito, voluto e vissuto attimo dopo attimo. 
All'inizio le difficoltà la sono sembrate insormontabili e il viaggio quasi impossibile. Era certa che da sola non avrebbe potuto farcela. Allora, su consiglio di sua sorella, che non poteva seguirla, si è guardata meglio attorno e ha chiesto, cercato, condiviso i suoi progetti e i suoi sogni e alla fine ha trovato quattro colleghe, quattro donne come lei che avevano voglia di fare un'esperienza forte e diversa.


Il 20 luglio dell'anno scorso sono partite da Milano per Madrid; per Elena era il primo volo. Da Madrid hanno raggiunto Porferada col treno e, infine, sono arrivate ad Astorga, base di partenza di questa loro avventura.
Il giorno dopo alle 6,30 - suppergiù - zaino in spalla e scarponi ai piedi hanno incominciato a camminare. E poi per dieci giorni non hanno più smesso.
Hanno camminato per 299 km, con una media di 25 km al giorno, cinque donne sole, al buio e sotto il sole estivo della Spagna, su strade asfaltate e su strade di campagna, attraverso piccoli paesi e sui Pirenei.
Hanno dimostrato a sé stesse prima di tutto, ma anche  a noi che ne conosciamo la storia, che tutto è davvero possibile, che quando si ha un obiettivo concreto davanti agli occhi si trova anche la determinazione e poi la forza necessaria per raggiungerlo.
La fede, in questo viaggio, è stata una compagna silenziosa ma sempre presente. Elena mi ha raccontato che prima di partire, ogni mattina, recitavano tutte e cinque assieme una preghiera di affidamento del cammino e concludevano allo stesso modo la giornata con una preghiera. E anche durante le cinque o sei ore di cammino quotidiano c'era sempre spazio per la recita di un rosario che, insieme ai canti e allo scambio di opinioni con le compagne, aiutava a superare i momenti di difficoltà e di stanchezza o di scoraggiamento che, a tutte prima o poi sono capitati.


Giorno dopo giorno, passo dopo passo, insieme alle vesciche e al mal di piedi, affiorano i ricordi e le speranze per il futuro. Ci si dimentica di sé, di quello che si sta facendo e ci passa davanti agli occhi la nostra vita passata o forse solo quello che abbiamo deciso di trattenere e di portare dentro di noi, nel bene e nel male.
Credo che in questo risieda la magia di un viaggio: non è mai solo uno spostamento attraverso un luogo ma sempre e solo dentro di noi.
Ogni pomeriggio, dopo aver pranzato, Elena si dedicava al bucato e al riposo, alla lettura e alla stesura del suo "diario di bordo".
E iniziava, a quel punto, un viaggio diverso, fatto di incontri e di scambi di esperienze con altri pellegrini, di sguardi e di sorrisi, di abbracci e di aiuto reciproco. Questa è la parte del viaggio che avrei certamente amato di più, se solo fossi sopravvissuta - e sinceramente non credo - alla prima parte.
Sono sicura che sono tante le storie che Elena si è portata a casa ma per certo so che sono soprattutto due quelle a cui ripensa più spesso. A Francisco, un ragazzo portoghese che porta in giro la sua solitudine e la sua povertà per tutta l'Europa adattandosi a fare piccoli lavori, lui che non ha potuto studiare ma conosce bene quattro lingue e chissà quante altre cose.
E a Josef, che senza chiedere nulla in cambio, curava tutti quelli che incontrava sul suo cammino, la pelle bruciata dal sole e un cuore immenso. 


A Santiago sono arrivate di prima mattina, dopo aver viaggiato tutta la notte e qui vi chiedo un piccolo sforzo. Provate a chiudere gli occhi. E immaginate la campagna di notte, magari illuminata dalla luna. Immaginate il silenzio. E poi lo scricchiolio e il frusciare di cinque paia di scarponi che avanzano, in fila, un piede dopo l'altro. Per 30 km. Attraverso la notte, verso l'alba, fino la sorgere del sole, fino al sole pieno. E poi Santiago.
E qui mi voglio fermare, perché la gioia e la soddisfazione di essere giunte alla meta deve rimanere un sentimento privato. Noi possiamo solo immaginare cinque giovani donne sorridenti, in pantaloncini a scarponi, con un grosso zaino sulle spalle che entrano nel Santuario affollato e profumato d'incenso, e possiamo immaginare di far loro un saluto da lontano e un sorriso, grati di aver condiviso con loro una piccola parte del cammino.

Grazie amica mia per avermi voluto regalare la tua storia.
La porterò dentro di me e la tirerò fuori quando ne avrò bisogno.
E ricorderò sempre che, anche nella vita, un pellegrino non è mai un turista.
Raffaella
La casa vicino al treno  


    

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