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lunedì 9 novembre 2015

Emma Hooper: "Etta e Otto e Russel e James"


Poesia.
E' quello che salta subito all'occhio aprendo per la prima volta questo romanzo.
Una prosa che lascia spesso il posto a frasi brevi, tanti punto e  a capo, tanto bianco.
Poetico è l'andamento delle frasi, il dispiegarsi dei periodi.
Poetico è il ritmo, se solo si riesce  a trovare un angolino silenzioso dentro la propria testa dove poterselo leggere a voce alta.
Poetiche sono le immagini che vengono evocate, la natura selvaggia del Canada con la sua potenza, un coyote per compagno di viaggio, la polvere che si attacca a tutto, gli animali di cartapesta che giorno dopo giorno riempiono il prato dell'anziano marito che aspetta la moglie, i dolci cucinati seguendo le ricette di chi si ama, la polvere di fiori di lino da spalmare sulle palpebre per poter finalmente dormire.
Leggendo assistiamo a un'alternanza costante e quasi confusa tra il presente e i ricordi del passato, perché è così che li vive Etta, in bilico precario tra i due mondi, nella pelle dei suoi ottantatré anni, pesanti eppur leggerissimi.

Etta, che non ha mai visto il mare, una mattina, all'alba, decide di andarci. A piedi.
Lascia una lettera, con cui si apre il racconto, al marito Otto, che le dorme accanto.
E gli lascia anche "una pila di schede di ricette. Tutto quello che cucinava di solito (...) Così lui avrebbe saputo che cosa e come mangiare mentre lei era via".
Otto vorrebbe seguirla ma rispetta la sua decisione e la lascia andare. Russel no, decide di seguirla. 
Russel che è stato come un fratello per Otto ed è da sempre un amico per Etta, anche se ha sempre desiderato essere qualcosa di più.
E mentre Etta cammina e cammina e cammina
e Otto la aspetta e costruisce animali di cartapesta
mentre Russel cerca di raggiungerla e poi parte finalmente per la sua strada, i ricordi del loro passato comune vengono a visitarli e ci raccontano di un mondo lontano che non c'è più, di fattorie e di quattordici fratelli, di povertà e ignoranza, di una nuova maestra e della guerra che chiama a sé tutti i giovani, di navi per andare e treni per tornare, di attese, di balli, di baci rubati e di amori travolgenti, che non esiste più nient'altro, solo io e te.

E' una poetica dei dettagli quella della Hooper.
E' un amore per le cose di tutti i giorni, per gli oggetti quotidiani, per quello che arrivano a significare per tutti noi, che tanto mi ha ricordato la Szymborska  e che io amo molto.
Ed è un libro pieno di meravigliose lettere d'amore, tutte quelle che Etta e Otto si sono scambiati durante la loro lunga vita insieme.

"Caro Otto,
abbiamo tutti paura, la maggior parte delle volte. La vita non sarebbe vita se non l'avessimo. Avere paura, e poi buttarcisi dentro a capofitto in quella paura. All'infinito. Ricordati solo di tenerti forte, quando lo fai.

Con affetto,
Etta"


Raffaella
La casa vicino al treno





   

giovedì 22 ottobre 2015

"La ragazza di Orchard street" di Susan Jane Gilman


Malka è solo una bambina quando, nel 1913, lascia la Russia insieme ai genitori e alle tre sorelle per un viaggio disperato che li porterà fino al porto di Amburgo e da lì in America, grazie ad un cambio di biglietti dell'ultimo minuto voluto dal padre. 
Quel viaggio durerà quattordici giorni.
Quattordici giorni di mal di mare, sofferenze, malattie e privazioni che li lasceranno deboli e smarriti al loro primo incontro con la Statua della Libertà.
Ma ben presto si renderanno tutti conto che l'America non è quella che si erano immaginati né che avevano sognato, perché vivere tutti e sei stipati in un vecchio salotto, lavorando tutto il giorno alle dipendenze di un sarto, nel quartiere ebraico di New York, senza vedere altro che cemento, strade polverose e venditori ambulanti, senza potersi permettere di comprare mai nulla, non può certo considerarsi la realizzazione di un sogno.
Comincia da qui la ricostruzione fantastica della vita straordinaria di Malka, che attraverso mille vicissitudini diventerà Lilian Dunkle, la regina del gelato,  ricca e capricciosa imprenditrice, star della tivù americana, donna piena di vita e forza, dal carattere d'acciaio che la disabilità non sarà in grado di piegare.



Questo romanzo abbraccia tutta la storia americana del Novecento, vissuta attraverso lo sguardo realistico e disincantato di Lilian, immigrata ebrea che trascorre però parte della sua infanzia e tutta l'adolescenza a Little Italy, dai cattolicissimi Dinello, proprietari di una piccola attività artigianale di gelato.
Così alla trama della Storia americana si intreccia quella dell'immigrazione dei primi del Novecento, quella della comunità italiana a New York, quella della storia del gelato e delle gelaterie - che molto devono, come altri settori del resto, all'estro degli italiani - oltre  a quella più intima  e personale della protagonista.
Sebbene qui si tratti di un romanzo, la storia di Lilian mi ha ricordato molto quella di Gabrielle Chanel per la vita difficile, le umili origini, la forza di carattere, la determinazione a raggiungere il successo e la disperata volontà di riscatto. 
Quello che mi ha colpito di più in Lilian è stata l'amara accettazione del suo destino di sofferenza e di mancanza d'amore e la sua determinazione nel trasformarlo in successo.
Lilian è stata infatti abbandonata prima dal padre, che se ne va da solo in cerca di fortuna, poi dalla madre, che la lascia sola in un letto d'ospedale dopo che ha avuto un brutto incidente, che la renderà disabile. Sarà adottata dalla famiglia Dinello, che la tratterà però sempre con distacco e non la accetterà mai veramente.
Forse solo quando si tocca il fondo non resta altro da fare se non provare a risalire. Forse solo chi ha conosciuto la fame, quella vera, ha la forza necessaria per combattere tutta la vita per non ritrovarsi mai più in una situazione simile. Forse solo chi non è stato mai amato è destinato a inseguire l'amore per sempre, senza riuscire a raggiungerlo mai.
E anche se poi conoscerà la felicità accanto all'amatissimo marito Bert, le rimarrà un vuoto dentro che nessuna ricchezza, fama, amicizia e successo riuscirà mai a colmare.
Scrittura precisa, pulita, ironica. 
Consigliatissimo.



Raffaella
La casa vicino al treno

venerdì 16 ottobre 2015

"La foresta incantata" di Johanna Basford


Prima dell'estate, in una delle mie incursioni in libreria, ho visto questo libro. Aveva una copertina bellissima, bianco, nero e oro.
Non ho resistito e l'ho comprato.



"La foresta incantata" di Johanna Basford è un album meraviglioso pieno di disegni a china molto elaborati, con fiori, foglie, alberi e animali che si inseguono e si rincorrono di pagina in pagina, in un susseguirsi di ambienti fiabeschi, animali totem e simboli da scovare, che serviranno alla fine per aprire la porta del castello e scoprire cosa vi è celato al suo interno. 
E' da un po' di tempo che si vedono nelle librerie libri da colorare per adulti,  con disegni geometrici o mandala, presentati come anti-stress.
In questo caso si tratta invece di una vera e propria opera d'arte, colma di intrecci di felci e fiori, bizzarre case appollaiate sugli alberi, creature magiche nascoste, castelli e forzieri pieni di tesori floreali. 
Sinceramente la bellezza dei disegni non invoglia a prendere i colori e a mettersi a colorare, motivo per cui è stata ideata l'opera. Io per esempio ho provato solo a colorare la prima pagina, poi non ho più osato. Però ho fotocopiato alcune pagine ai miei bambini, una volpe con il corpo fatto di foglie per Bianca e un teschio per Pietro. Loro hanno osato e sono stati bravissimi.
Le loro opere sono ora appese nelle loro camerette.
A me piace di più sfogliare le pagine, indugiare con lo sguardo sugli intrichi dei rami, provare  a scovare gli animali nascosti. Trovo che sia molto ispirante.



In questo periodo sono alla ricerca di quello che mi piace, come vi avevo detto ( vd. "Ricomincio da me", post del 1/10).
Mi è capitato in questi giorni di ripensare a quando passavo del tempo a creare degli oggetti in legno per poi venderli nei mercatini.
Ho cominciato nel 2007, dopo aver letto un articolo sul "Country painting". Me ne sono innamorata e ho deciso di imparare da sola quella tecnica, che partiva da disegni presi a modello, che venivano poi ricalcati e dipinti a mano con gli acrilici. Non era necessario saper disegnare e neanche conoscere i segreti della luce e delle ombre, bastava copiare il modello, magari rielaborandolo o cambiando i colori secondo la propria fantasia.
I risultati erano, secondo me, molto carini; mi sono divertita tanto e sono anche riuscita a vendere qualcosa. Poi ho voluto imparare ad usare la macchina da cucire ma qui le cose erano un po' più complicate, è difficile imparare bene da soli.
E così mi sono persa. Nel frattempo ho avuto Bianca, una nuova casa da arredare e abitare, nuove passioni. 
Ho sempre pensato di poter fare una sola cosa alla volta, chissà perché. Ora, invece, ho capito che l'amore che ho per la lettura e per la scrittura, e ora anche per questo mio piccolo blog, non verranno mai intaccate da qualsiasi altra passione. 
Però voglio tenere la porta aperta a quello che verrà.
E in questi giorni, in cui di sicuro sto pensando troppo, mi è tornata una gran voglia di fare qualcosa di manuale. Di realizzare piccoli oggetti. E mi è venuta voglia di usare il legno, che è un materiale molto versatile. E vivo.


In cerca di ispirazione, vi saluto.
Buon venerdì sera, buio, nuvoloso e piovigginoso.
Halloween si avvicina.
Raffaella
La casa vicino al treno
   

giovedì 8 ottobre 2015

Smetto quando voglio ( di leggere Anne Tyler)


La prima volta che ci siamo viste stava su uno scaffale, stretta tra tanti altri. In una sequenza lunghissima di nomi e titoli.
Io, in piedi, davanti a lei.
Conoscevo il suo nome, non la sua scrittura, ancora non le sue storie.
Non ricordo cosa mi abbia spinta a prendere quel volume e a portarmelo a casa in tutta fretta.
Forse il disegno in copertina.
Forse una frase letta di sfuggita.
Poi però quel libro l'ho letto. 
Ed è stato subito amore.
Mi sono immedesimata nella storia di Delia - protagonista di "Per puro caso" - ho tifato per lei.
E anche se alla fine non sono stata d 'accordo con la sua scelta, anche se io avrei agito diversamente - ma forse bisogna trovarcisi in una situazione, no? - l'ho capita. E rispetto le sue scelte.
( vd. post dell' 8/6, " Tu la conosci Anne Tyler?")


Ma di certo un libro non basta.
Tempo fa mi sono chiesta quanti libri di un autore bisogna aver letto per poter dire di conoscerlo abbastanza bene.
Mi ero risposta tre. Così ho voluto continuare a cercare di conoscere la signora Tyler.
Il secondo e il terzo li ho presi assieme.
Ormai conosco lo scaffale, anche se nel frattempo la biblioteca ha cambiato completamente la sua disposizione.
"Ragazza in un giardino" è stato il romanzo delle Tyler che mi è piaciuto di meno, perché non sono riuscita ad entrare in sintonia con la protagonista.
E' una ragazza indolente, senza sogni o aspettative dalla vita, che si adatta ad una situazione che non ha scelto ma nella quale si è trovata quasi per caso. E anche gli altri personaggi non mi sono piaciuti un granché. 
Questo non toglie che la scrittura dell'autrice sia sempre precisa e profonda come una lama ben affilata. 
Con il terzo invece  è stato di nuovo amore.
Ne "La figlia perfetta" la scrittrice ha saputo ricreare una precisa atmosfera, quella della comunità iraniana a Baltimora, che lei conosceva bene per aver sposato uno psichiatra iraniano, ormai scomparso da diversi anni.
Nella figura di Maryam ha saputo racchiudere tutte le contraddizioni di una donna cresciuta ed educata in un Paese ed emigrata poi con il marito in un altro, completamente differente.
Ha saputo delineare con grande delicatezza e sensibilità i sentimenti contrastanti che si agitano dentro di lei, che non si sente americana ma nemmeno iraniana, così lontana dai suoi parenti più prossimi e invece stranamente, ma forse neanche troppo, vicina alla famiglia americana incontrata per caso in aeroporto all'arrivo dalla Corea della nipotina adottiva.



E tre li avevo letti.
Potevo dire di conoscere l'autrice?
Era abbastanza così?
No! Per me, assolutamente no!
Sono corsa a prendere "Un matrimonio da dilettanti" che ho letto subito dopo.
Ecco, credo sia stato quello il momento.
C'è sempre un momento, vero?
Quello in cui mi sono resa conto che li avrei volentieri letti tutti, almeno quelli che riuscivo a trovare in biblioteca, uno dopo l'altro.
Questo libro l'ho divorato. Meraviglioso.
Michael e Pauline si conoscono giovanissimi il giorno di Pearl Harbour, a Baltimora, nel quartiere polacco, dovo vivono con i genitori. Quell'incontro casuale tra la folla, in cui lei lo spinge ad arruolarsi, cambiando per sempre la sua vita, innesca l'avvio di questa storia, che è la storia di un matrimonio, raccontato e scandagliato nei più intimi recessi e negli aspetti più privati e profondi di entrambe le parti. Ogni capitolo ci proietta in avanti di diversi anni, fino al nodo centrale: la scomparsa volontaria della figlia maggiore, che li lascerà attoniti e sgomenti, alle prese con un vuoto impossibile da colmare.



Perché amo questi libri?
Per la delicatezza, la profondità, la precisione, l'estrema sensibilità.
Mai un dettaglio di troppo, mai uno di meno.
Perché sollevano molte domande, perché a volte ti sbattono davanti agli occhi quello che è successo o potrebbe succedere anche a te obbligandoti a voltare la faccia e a non abbassare lo sguardo.

Arrivata a questo punto, potevo smettere?
Ho proseguito con "Quando eravamo grandi".
Altra folgorazione. Altro amore.
Alla soglia dei cinquant'anni Rebecca, vedova e caposaldo di una famiglia numerosa, all'improvviso viene colta da nostalgia per il passato e si ritrova come estranea alla sua vita attuale.
E se le cose fossero andate diversamente?
E se non avessi sposato mio marito?
Ormai libera e con figli grandi, Rebecca decide di andare in cerca di quel passato cui aveva bruscamente voltato le spalle per sposare l'affascinante Joe e lavorare con lui. Rintraccerà il vecchio fidanzato ma poi le cose andranno diversamente da come si era immaginata. Capirà che se ha fatto le scelte che ha fatto è stato perché lo ha fortemente voluto. E scoprirà anche, con suo immenso stupore, che sì, è stata felice. E lo è tuttora, in quella caotica famiglia che un po' ha ereditato e un po' si è costruita, giorno dopo giorno, un passo alla volta. 



A questo punto la mia dipendenza mi era chiara.
In realtà sono piuttosto brava ad allontanarmi da quello che mi piace e a proibirmi quello che mi fa stare bene.
E allora via a legger altro.
Fino a che non ho resistito.
Fino a "Il turista involontario".
Ci ho messo più del solito ad affezionarmi a Macon Leary, autore di guide turistiche per uomini d'affari che odiano viaggiare, forse perché è un uomo. Ma dopo averlo conosciuto meglio l'ho adorato.
Abbandonato dalla moglie dopo la tragica morte del loro unico figlio, si ricrea una vita solitaria scandita dall'abitudine e dal risparmio di energie. Finché una giovane ragazza-madre, piena di vita lo coinvolge suo malgrado nella sua vita disorganizzata e assurda, stravolgendolo. Con un finale davvero a sorpresa.
Ho concluso la mia esperienza di lettura di questa autrice notevole con "L'albero delle lattine", opera che affronta in modo inusuale il tema della morte, per di più di una bambina.
Delicato acquerello della vita, se così si può ancora chiamare, della famiglia e degli amici più stretti della piccola Janie Rose, senza retorica, né considerazioni scontate.



Arrivati a questo punto vi meritate una confessione.
Ho detto una bugia.
Una sola in tutto questo post lunghissimo.
Mi sa che non smetto più.
Raffaella
La casa vicino al treno 



martedì 29 settembre 2015

"Il richiamo del cuculo" di Robert Galbraith




Questa volta sono di parte.
Assolutamente di parte.
J. K. Rowling è una delle mie scrittrici preferite.
Non solo mi piace, sono innamorata pazza della sua scrittura e del mondo che ha saputo creare attorno al suo personaggio più famoso, Harry Potter.
Ho intenzione di rileggere tutti e sette i suoi volumi ( per ora sono al quarto) assieme a mio figlio, sognando una prossima vacanza in Scozia. 
Ho letto anche il suo primo romanzo "per adulti", "Il seggio vacante", che mi è piaciuto molto - e di questo credo che ve ne parlerò a breve - .
Ma qui c'è un problema.
Questo è un romanzo giallo. E io non sono tipo da gialli.
Mi immedesimo troppo, quando leggo, e mi spavento.
E non mi va di avere degli incubi, la notte, così evito proprio il genere. Tranne qualche eccezione.
Vedi Agatha Christie. Vedi Stephen King.
E vedi la Rowling.


In questo romanzo facciamo, per la prima volta, la conoscenza di Cormoran Strike, l'investigatore privato, con un passato da militare in Afganistan, cui toccherà indagare sulla morte della bellissima modella Lula Landry, apparentemente suicidatasi gettandosi dal suo balcone in pieno centro a Londra.
E' un personaggio a tutto tondo, Strike, con un passato ingombrante che spesso torna a tormentarlo, un presente incerto ma sorretto da una tenace determinazione a trovare la verità e dalla capacità di riuscirci. 
In questo compito Strike sarà affiancato dalla giovane Robin, efficiente e creativa segretaria, innamorata del lavoro investigativo e decisa a farsi assumere indeterminatamente da Cormoran.
Gran parte del fascino di questo romanzo va senza dubbio attribuito all'ambientazione, alla Londra che la Rowling ben conosce, con i suoi pub, le sue eleganti vie del centro, il traffico e i lavori stradali infiniti, le boutique esclusive. Qui, in particolare, vengono accesi i riflettori sul mondo della moda, fatto di stilisti, modelle, truccatori, autisti e paparazzi e il giudizio che ne viene fuori non è molto positivo. Lula, in sostanza, era sola e nessuno ha saputo starle vicino e proteggerla, né la famiglia, che si vantava della sua fama come di un bel gioiello antico, né i suoi amici, che cercavano di sfruttarla come meglio potevano. 


Della scrittura della signora Rowling c'è poco da dire. 
Scorrevole, precisa, efficace, mai un inciampo o un aggettivo fuori posto. 
La lettura di questo romanzo è riuscita davvero ad allontanarmi da tutti i miei pensieri  e a catapultarmi in un altro luogo e in un altro tempo, risvegliando la criminologa che c'è in me.
Forse il fatto che abbia indovinato l'assassino quasi fin da subito non depone  a favore della complessità della trama; in realtà un conto è immaginare un possibile ( e probabile) colpevole, un altro comprendere le motivazioni profonde che spingono un personaggio ad agire in un determinato modo.
Ve lo consiglio, con il cuore.
Buon martedì di inizio autunno, di cielo coperto e aria fresca.
Raffaella
La casa vicino al treno

lunedì 21 settembre 2015

"Chi manda le onde" di Fabio Genovesi


Ho letto questo libro al mare.
Ci ho messo più del solito perché, impegnata a fare quello che ho fatto - vedi post precedente - leggevo solo la sera e dopo pranzo.
Ci ho messo più del solito a leggerlo perché, ogni capitolo costituisce un'unità completa in se stessa, come una scena di un film. Alla fine del capitolo, invece del desiderio di correre a leggere il resto, per un bisogno di saperne di più che spesso un buon libro porta con sé, io chiudevo il libro e, quasi sempre, pensavo: perfetto.
Non c'è null'altro da aggiungere. L'autore ha detto quello che doveva dire e lo ha detto alla grande. Mi veniva voglia, ogni volta, di fargli i complimenti.
E sentivo la necessità di rimanere un po' con le sensazioni che la lettura di quel capitolo aveva suscitato in me.Ancora un po'. Fino alla prossima sessione di lettura.
( In particolare "Ma figurati se la chiamo Luna" è un vero capolavoro, un romanzo nel romanzo).

Forse l'ho già scritto per altri libri ma qui si ride e si sorride di continuo e si piange - tantissimo! - e non nel finale.
Ci si riconosce nei personaggi strani e meravigliosi che Genovesi ci presenta, ci si specchia nei loro difetti e nelle loro debolezze e in quel senso di alienazione che spesso ci portiamo dentro. 
Si finisce per conoscerli a fondo, questi sgangherati, improbabili e proprio per questo così veri personaggi, e alla fine non si può che voler loro bene, anche a uno come Ferro, che alla prima occhiata lo manderesti a quel paese o a Marino, con tutti i fallimenti della sua vita.

 La bella Serena, i figli Luca e Luna, Sandro, sconclusionato quarantenne con gli amici Marino e Rambo, Ferro, bagnino in pensione con il nipote acquisito Zot, che viene da Chernobyl: una manciata di vite prese a caso, in un posto a caso, Forte dei Marmi, ma lontano dall'estate, quando in giro non c'è nessuno e per passare il tempo ti devi inventare qualcosa.
Ma la vita ha già deciso per loro e quando rovescia sulle loro teste le sue onde tremende ciascuno reagisce come può, facendo finta di andare avanti o chiudendosi in se stesso, aggrappandosi a un sogno o guardando la vita con cinismo. Ma nessuno si salva da solo ed sarà proprio l'amicizia e il sostegno reciproco che li terrà a galla e, come i pesci, li farà stare con il muso verso la corrente, verso tutto quello che può arrivare, di buono e di cattivo, senza voltarsi mai.

Ho adorato l'uso sapiente del punto di vista che fa qui Genovesi.
Il romanzo alterna, infatti, la prima persona quando a parlare è Luna; la seconda quando incontriamo Serena ( e quel "tu Serena" non me lo posso più scordare) e la terza, nella descrizione degli altri personaggi, in un'alternanza che non stanca mai e permette di capire immediatamente, dalle prime righe, di che si sta parlando.
Bellissimi i dialoghi, infarciti di modi di dire ed espressioni prese dal dialetto, che conferiscono , se ce ne fosse bisogno, ulteriore vitalità ai personaggi meravigliosamente descritti, vivi anche per quella capacità di introspezione psicologica che certo non manca all'autore. Genovesi è credibile sia quando ci racconta dei tre amici quarantenni, sia quando si mette nei panni di una tredicenne quanto in quelli della madre.


Dopo aver chiuso il libro mi ha colto un grande senso di perdita. 
Mi mancavano. Mi mancano. Tanto.
Avrei voluto tantissimo trascorrere tutta la mia estate al mare in loro compagnia. Non è stato possibile, ma li ho portati dentro di me comunque.

E vorrei lasciarvi con due citazioni: 
"Siamo tutti normali, finché non ci conosci abbastanza".

"(...) lo trattano così male, poveraccio." "Ma chi"
"Lo spazzacamino. Ma perché lo trattano così?"
"Perché è nero (...)"
"Vabbè, ho capito, ma a me mi stanno lontani perché sono tutta bianca. Come deve essere uno per piacere alla gente?" (...)
"Sai Luna, mi sa che a questo mondo, se vuoi piacere alla gente, devi essere grigio come loro. Noi non siamo grigi, e ce la fanno pagare ogni giorno".

Buona lettura,
Raffaella
La casa vicino al treno





mercoledì 15 luglio 2015

"Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa" di Mario Calabresi


Fate attenzione: questo libro è un antidoto potentissimo contro lo sconforto, la sfiducia, il pessimismo, la mancanza di obiettivi.
Se siete convinti che la crisi non avrà fine, che non riuscirete a ritagliarvi un posto tutto per voi in questa società e che è inutile darsi ad fare tanto le cose non miglioreranno, non so se basterà leggere un libro.
Se invece una fiammella di passione è sempre accesa dentro di voi, se riuscite comunque a coltivare la speranza, se avete voglia di fare, anche se non sapete bene cosa, allora questo libro può esservi utile.
Mario Calabresi raccoglie alcune storie di uomini e donne che "non hanno avuto paura di diventare grandi". Ragazzi e ragazze che sono partiti da zero e hanno instancabilmente inseguito i loro sogni, ovunque li portassero.
A cominciare da Gigi e Mirella, zii dell'autore, entrambi medici, che nel 1970, a ventisette anni, sono partiti subito dopo il loro matrimonio per l'Uganda.
Qui hanno vissuto per cinque anni, in mezzo al nulla, creando e facendo funzionare un ospedale, tra difficoltà inimmaginabili.
Ce l'hanno fatta e sono anche riusciti a crescere tre figli, oltre che a dedicare tutta la loro vita ai malati e ai bisognosi, in Africa come in un paesino di montagna sopra Bergamo. La loro storia fa da filo conduttore del libro, legando tra loro tutte le altre.


Ci sono storie di giovani che si sono messi completamente in gioco lasciando l'Italia, dove la situazione ristagnava da troppo tempo, per fare un'esperienza di lavoro in Cina o per fare i volontari in Africa.
C'è chi, invece, ha avuto il coraggio di rimanere e di continuare a fare il lavoro del padre, sia esso quello del pescatore o del mugnaio, ma in un modo del tutto nuovo, studiando, innovando e assorbendo tutti gli stimoli esterni per fare sempre meglio, per fare a  modo proprio. 
Questo libro trasmette una PASSIONE e un'ENERGIA senza pari e ci grida a gran voce di svegliarci, di darci da fare, di cercare di dare un'impronta positiva a questa nostra società, di fare ciascuno quello per cui è nato, di seguire dunque i propri sogni ma, allo stesso tempo, di cercare di farlo al meglio delle proprie possibilità perché il successo di un singolo può davvero essere il successo di tutti noi, fosse anche solo per lo slancio e l'energia che un esempio positivo è in grado di dare a tante altre persone. E' un libro rivolto ai giovani ma anch'io, che giovane non sono, vi ho trovato una forza e un'incoraggiamento come non se ne trovano facilmente, in questo periodo. Sono fermamente convinta che gli esempi positivi siano vitali, non tanto per fare paragoni, che è una cosa che non mi è mai piaciuta, ognuno di noi ha i propri problemi e le proprie sofferenze che non credo si attenuino pensando, ad esempio, che in Africa in questo momento fa molto più caldo e forse hanno anche meno da bere; ci fa stare meglio? Non credo.
Penso invece che gli esempi positivi siano essenziali per darci una bella svegliata, per farci capire che il momento di agire è ora, ora è il momento di fare qualcosa, di cercare di cambiare le cose, di provare a realizzare i nostri sogni per dimostrare con gli esempi ai nostri figli che si, si può fare, è dura ma si può.


Non solo vite di giovani ci presenta Calabresi ma, anzi, una di quelle che ho apprezzato di più è stata la testimonianza di un professore ultraottantenne, pieno di vita, che insegna ancora e che parla di "una trottola che finché gira rimane in piedi, quando si ferma è finito il gioco. Mai perdere le occasioni ma continuare a muoversi, a cercare, a leggere, ad avere rapporti sociali". 
Ma vorrei infine condividere con voi la lezione più commovente, più toccante e profonda, quella che due sorelle di settantaquattro e settantasei anni, Andra e Tatiana Bucci, insegnano ai giovani che accompagnano nel lager dove sono state rinchiuse da bambine:
" Se abbiamo superato noi il dolore, lo shock, il lager, la paura, e la convinzione di essere rimaste sole al mondo e poi la difficoltà del ritorno a casa, allora voi ragazzi potete superare la crisi e lo smarrimento che vi circondano. Ma dovete avere il coraggio di pensare con la vostra testa, avere forza di volontà, stringere i denti e non andare dietro ai discorsi negativi."
Niente da aggiungere.
Vi abbraccio forte
Raffaella
La casa vicino al treno



  


    

martedì 30 giugno 2015

"Il collo mi fa impazzire" di Nora Ephron


Quand'è, secondo voi, che ci si comincia a preoccupare della propria età? A preoccupare veramente, voglio dire?
Quand'è che ci raggiunge la consapevolezza che una bella fetta di torta della nostra vita, la fetta più spensierata e inconsapevole, più leggera e divertita se n'è andata per sempre?
Forse quando diventiamo genitori?
O quando i trent'anni cominciano ad allontanarsi e, guardandoci indietro, non li vediamo più così vicini?
Ma non scherziamo!
A trent'anni si è giovani, giovanissimi per i parametri italiani - dove la carriera, soprattutto in politica, arriva molto più tardi.
Io ho avuto mia figlia a trentaquattro anni e sebbene non mi sentissi giovanissima quegli anni sono volati tra pappe, che mi sputava in faccia, e notti in bianco, cercando contemporaneamente di dar retta a mio figlio che iniziava le elementari e organizzando, poi, il trasloco nella nuova casa.
Quando sono uscita dalla "trance" i quaranta si stavano paurosamente avvicinando.
Ho cercato di esorcizzarli in tutti i modi: ho cominciato a fare yoga, stretching dei meridiani e i cinque tibetani.
Ho preso lezioni di dizione e lettura teatrale.
Ho cominciato a curarmi solo in modo naturale, con l'omeopatia e lo shiatsu. Mi sono persino iscritta ad un corso di danza classica - le altre avevano tutte diciassette anni! ( Ma dovevate vedermi con i collant rosa carne!).
Ho eliminato lo zucchero bianco, il burro e la carne rossa. Aspiro persino a diventare vegana.
Ma niente da fare! I quarant'anni soon arrivati lo stesso, puntuali per di più.
E, a quel punto, cosa potevo fare?
Li ho accolti con un sorriso a denti stretti e poi ho cercato di ignorarli.
Vi posso in tutta onestà confessare che il giorno in cui si compiono non è che avvenga chissà quale decadimento fisico. Non c'è un crollo totale, insomma, né qual giorno, né quella settimana.
Direi che si tratta piuttosto di un processo degenerativo più globale, di cui forse ti accorgi solo ora.
Quel capello bianco - in realtà ti tingi allegramente da anni, ma mentre prima ti raccontavi che lo facevi per dare più luminosità al colore naturale o per provare tutte le sfumature di rosso esistenti in natura - e non, soprattutto NON - ora sei tristemente consapevole del fatto che lo fai per non sembrare Barbara Bush ( e qui mi può capire solo chi ha una certa età).
Quelle rughe attorno agli occhi, "d'espressione" certo, ma perché la tua espressione non è mai serena come quella del Dalai Lama? Saresti liscissima, in quel caso.
E la mia scoperta più recente: quel filo, diciamo filo, di cellulite sulle cosce, nonostante sia magra in tutto il resto del corpo ( anche troppo). Dicono sia colpa della ritenzione idrica: ho seri dubbi al riguardo visto che sono almeno trent'anni che mangio insipido e che non bevo quasi mai ( questo non andrebbe fatto, ma io non ho sete!). 
Che cavolo si "ritiene" allora nelle mie cosce? Aria fritta?
La verità è che così nasci e così devi morire ( nonostante ti stia ammazzando di yoga, anzi forse morirai proprio di quello).
La notizia positiva però è che, soprattutto se smettiamo di mangiare pesce, tra qualche anno non avremo più la memoria che abbiamo ora, così con ogni probabilità ci dimenticheremo di pomeriggio perché durante la mattina, guardandoci allo specchio, ci sia venuto il malumore. 
Allo stesso tempo ci calerà anche la vista e a quel punto riconoscere tutti i nostri difetti allo specchio non sarà più tanto semplice. 
Dio vede e provvede.
( Ma non per me. Sono miope e ci vedo sempre meglio ogni anno che passa, pur non mettendo quasi mai gli occhiali. Alla faccia di tutti i medici che in quarant'anni mi hanno fatto sentire in colpa se non li portavo sempre).



Tutte queste considerazioni semiserie mi sono venute in mente leggendo il libro che Nora Ephron, famosa regista e sceneggiatrice americana, ha scritto nel 2006, quando aveva sessantacinque anni. Mentre lo leggevo ho pensato che quando un'autrice , o un autore, è GRANDE, sa scegliere le parole e sa metterle in fila, per così dire, può parlare di qualsiasi cosa. Anche di argomenti apparentemente banali ma che ci riguardano tutti. Senza cadere mai nella volgarità.
Leggendolo ho pensato anche a quale grande magia sia la scrittura e che potere grandissimo abbia: quello di far idealmente dialogare me, neo-quarantenne smarrita e sgomenta con Nora, che purtroppo è scomparsa tre anni fa per una leucemia ma che sa farmi sorridere di quello che sto vivendo, lei che l'ha vissuto  prima di me e sa, oh se lo sa, quello di cui scrive. 
Grazie Nora, grazie per la tua sincerità e per il tuo coraggio.



Raffaella
La casa vicino al treno     

    

martedì 23 giugno 2015

"Le luci nelle case degli altri" di Chiara Gamberale


Il bellissimo titolo di questo libro mi ha fatto pensare a quelle sere d'estate in cui passeggio per il mio quartiere, con il caldo che sale dall'asfalto, e , passeggiando, mi guardo distrattamente attorno e mi cade l'occhio sulle finestre illuminate che incontro.
Mi è capitato di vedere tante cose: una famiglia che gioca a carte in garage, dove  avevano tolto l'automobile e messo la suo posto un tavolo e quattro sedie. E l'eco delle loro risate.
Una tv accesa che racconta di posti lontani attraverso le finestre spalancate. Un bambino che piange e qualcuno che lo sgrida.
Un cane che abbaia. Quattro chiacchiere in cortile, prima di rincasare.

Di questo libro mi è piaciuta soprattutto l'idea di ambientare la storia in un condominio e di avere come protagonisti gli abitanti dei suoi cinque piani. Man mano che si procede con la lettura, ci si affeziona ai diversi personaggi, ai loro mestieri, alle loro vite complicate, ai loro segreti e persino alle loro bugie, il tutto raccontato con un linguaggio semplice, che è quello di un'adolescente che racconta in prima persona quello che le accade.

Maria, affascinante trentenne amministratrice di condomini e donna carismatica, capace di entrare subito in empatia col prossimo, muore improvvisamente cadendo dal motorino.
I condomini di via Grotta Perfetta 315, che le erano molto affezionati, vengono in possesso di una sua lettera, scritta in ospedale il giorno della nascita della figlia Mandorla, sei anni prima. In questa lettera commovente e profonda  Maria allude al fatto che il padre di Mandorla sia proprio uno degli abitanti quel palazzo rosa e verde, alla periferia sud di Roma. 
In una riunione concitata e molto sentita, la prima senza Maria, le cinque famiglie lì riunite decidono, dopo molte discussioni, di non fare il test del DNA che avrebbe risolto subito il mistero della paternità di Mandorla ma che avrebbe, allo stesso tempo, distrutto per sempre una di quelle famiglie.
Stabiliscono pertanto che Tina Polidoro, signorina sessantanovenne maestra in pensione del primo piano, adotti legalmente la bambina ma che in realtà siano tutti ad occuparsene, a turno.
Mandorla abiterà due anni con ciascuna delle cinque famiglie, salendo - dopo tale periodo - di un piano e avendo la possibilità di conoscerne a fondo gli abitanti.
Noi la seguiremo in tale percorso di crescita personale e di scoperta del mondo che la circonda, tra riflessioni sulla vita, paure tremende, sconcertanti rivelazioni e segreti che rimarranno tali, fino al colpo di scena finale.

Sono tanti gli spunti di riflessione che questo libro è in grado di sollevare, primo tra tutti il ruolo che hanno i genitori nella vita di una persona, la responsabilità che attribuiamo loro anche ben oltre quello che sarebbe il loro compito, la colpa di cui spesso li investiamo dei nostri errori e delle nostre scelte sbagliate, quando invece è sempre dentro di noi che dovremmo guardare e dentro di  noi cambiare, se c'è qualcosa da cambiare.
"E' che non c'è un posto dove si possa portare a riparare l'infanzia", no, purtroppo non c'è, ce la dobbiamo tenere così come l'abbiamo vissuta e cercare di tenerci stretto tutto quello che c'è stato di buono e avere il coraggio di lasciare andare tutto quello che ci ha fatto male.
E andare avanti con la nostra vita, senza guardarci mai indietro, senza dare la colpa a nessuno, semplicemente accettando quello che è stato, perché anche il male è comunque servito a portarci dove siamo arrivati, anche se non ci sembra un granché al momento.
Vi abbraccio stretti e grazie di cuore, se siete arrivati fino a qui.
Raffaella
La casa vicino al treno
   

lunedì 15 giugno 2015

Agata De Gotici e il fantasma del topo, Chris Riddell


Romanzo pieno zeppo di citazioni letterarie, da Mary Poppins a Jane Eyre, da Peter Pan a Frankenstein di Mary Shelley, da Alice di Lewis Carroll a Shakespeare, questo libro è notevole anche per le splendide illustrazioni che accompagnano per mano il lettore ( più o meno giovane) durante tutto lo svolgimento della trama, sottolineando e aggiungendo significati alla storia.


Agata  è la giovane figlia dell'eccentrico e ricco lord De Gotici, un poeta ciclista, che vive nascosto nel suo enorme Palazzo di Gorgonza coi Grilli, dopo la scomparsa della moglie.
Partenope, bellissima funambola di Salonicco, è infatti precipitata in una notte di temporale mentre si esercitava sul tetto, quando Agata era ancora molto piccola. Da allora Lord De Gotici limita al massimo i contatti con la figlia, che con i suoi occhi azzurri e i suoi ricci neri gli ricorda troppo dolorosamente l'amatissima moglie. 
Per questo la obbliga ad indossare degli scarponi chiodati, per sapere sempre dove si trova e poterla così facilmente evitare.
Una sera però Agata scorge nella sua camera il fantasma di un topo, Ismaele ( vi ricorda qualcosa?) che la convince ad andare, attraverso le innumerevoli stanza del palazzo, alla ricerca della trappola che l'ha ucciso per evitare la stessa fine ad altri topolini innocenti. E tra un giro notturno del palazzo e l'altro, Agata incontrerà starni personaggi e  troverà finalmente degli amici che la faranno sentire meno sola, riuniti nel Club della Soffitta, con i quali risolverà un mistero.


Ho adorato l'immenso palazzo di Gorgonza coi Grilli, talmente immenso da aver bisogno di un guardacaccia degli interni, con i suoi lunghissimi corridoi, le stanze enormi, le gallerie disseminate da ritratti degli antenati e le cucine, regno della terribile signora Pocoboni, creatrice della rinomata "gelatina di zampa di rinoceronte con sformato di lontra marina in riduzione di lacrime di sguattera". 
Dopo aver tanto amato Harry Potter e il mondo creato attorno a lui dalla Rowling non credevo di poter apprezzare l'ambientazione di altri romanzi per ragazzi, invece mi sono dovuta ricredere. Questo è molto credibile, nella sua assurdità, e molto divertente. Avevo voglia di farci un giro, in questo palazzo. Soprattutto ieri, una domenica di buio e pioggia a dirotto, ci sarei andata volentieri, con i miei bambini, in avanscoperta. Ci saremmo stretti l'impermeabile in vita, stivali di gomma ai piedi e un cappello sulla testa, l'ombrello no, che ci impedisce i movimenti. E se poi avessimo dovuto scappare all'improvviso, inseguiti dal guardacaccia Maltraversi, indispettito dalla nostra presenza? O ci fossimo scontrati per errore con l'Esploratore Polare, dal viso bianco cadaverico e dalla lunga  cicatrice sulla fronte? O se l'albatros gigante  avesse deciso di farci uno scherzo? Di sicuro avrei voluto conoscere Lucri Borgia, la nuova governante di Agata e sarei andata a curiosare nel giardino degli gnomi alpini.
Sarebbe stata una domenica fantastica!


Leggere questo libro vi farà immergere in un'atmosfera spettrale e avventurosa, cupa e  divertente come solo tornando bambini è possibile fare.
Bello, bello, bello! Consigliato dai dieci anni in su, senza limiti massimi.
Buon proseguimento di settimana, che francamente peggio sarebbe anche difficile. Vi abbraccio,
Raffaella
La casa vicino al treno  


lunedì 8 giugno 2015

Tu la conosci Anne Tyler?


Quest'inverno mi è stata detta una frase che suonava più o meno così: I classici sono quei libri che o uno ha letto o deve far finta di aver letto. Me l'ha detta un redattore durante la lezione conclusiva di un corso di scrittura creativa per bambini, dopo che avevo ammesso di non aver letto non so quale classico, forse "L'isola del tesoro".
Chissà che faccia avrò fatto, via Skype, sentendo quella frase.

Non ho nessuna intenzione di far finta di aver letto libri che non ho letto. Probabilmente è necessario nel suo mondo.
Nel mio, invece, è necessaria la sincerità. Sempre.


Questo per dire che Anne Tyler la conoscevo, certo.
Mi è capitato diverse volte di leggere recensioni di sue opere. Però, finora, non avevo mai letto un suo libro.
"Per puro caso" è stato il primo.
Mi sono ritrovata, passeggiando in  biblioteca, davanti al suo scaffale e, tra i tanti, ho scelto quest'opera del 1995, perché in copertina c'era una frase di Roddy Doyle - uno scrittore che amo - che diceva: "il suo libro più bello".
Non so se Roddy Doyle abbia ragione, ne ho letto solo uno finora, ma so per certo che questo libro è magnifico.


Delia ha quarant'anni, è moglie di un medico molto più anziano di lei a cui fa da segretaria, e madre di tre figli ormai grandi.
La sua vita a Baltimora scorre rapida come su binari ben oliati, sempre uguale, un giorno dopo l'altro.
Fino a quando, un sabato mattina come tanti, mentre è al supermercato a fare la spesa, viene avvicinata da un affascinante trentenne che le chiede di fingersi la sua fidanzata per inscenare una finta relazione davanti alla ex moglie, anch'essa lì per caso.
Delia acconsente, pur sentendosi inadeguata e fuori posto.
Si rincontreranno, sempre per caso, tempo dopo e tra loro nascerà una tenera amicizia, che forse sarebbe potuta anche diventare qualcosa di più. Forse. E questo potrebbe essere un motivo.
Un altro potrebbe invece essere la mancanza del padre, al quale Delia era molto legata, morto da pochi mesi, che non ha ancora voluto o saputo piangere. O i figli che diventano grandi e si allontanano - inevitabilmente - ogni giorno di più, diventando critici e inafferrabili.
Oppure la consapevolezza, che la colpisce con estrema chiarezza una sera, che Sam l'abbia sposata solo per convenienza, per ereditare la casa e lo studio medico del padre, e che avrebbe allo stesso modo potuto sposare indifferentemente una delle sue due sorelle. 
Sono tante le ragioni, se le andiamo a cercare una ad una con attenzione, all'interno di un lungo matrimonio, che possono aver spinto Delia, una mattina di giugno, a fare quello che ha fatto.
E cioè ad allontanarsi  a piedi, dalla spiaggia, in costume e  accappatoio, senza dire niente, nell'indifferenza dei suoi cari.
Torna  alla casa affittata per le vacanze ma da lì, senza pensarci troppo, accetta un passaggio da uno sconosciuto e si fa portare a Bay Borought, cittadina a due ore di distanza da Baltimora.
Qui prova a ricostruire la sua vita, trovando un lavoro e nuove amicizie. 
Ma è davvero possibile mettere il passato in un angolo e fingere che non esista? Lasciarlo semplicemente lì e guardare da un'altra parte?


La Tyler è maestra nel cogliere e nel saper descrivere i sentimenti e le emozioni più intimi e privati di tutti noi, con le loro mille sfaccettature e complessità. E' impossibile non identificarsi nei suoi personaggi, al punto che si arriva a pensare come loro.     
Gli avvenimenti della loro vita ci sorprendono e ci colpiscono come sorprendono e colpiscono loro, con la stessa forza e intensità.
Questa è inoltre, senza dubbio,l l'analisi più profonda, complessa e realistica di un matrimonio che mi sia mai capitato di leggere ultimamente.
E poi, che ha più bisogno di leggere trattati scientifici o psicologici sull'argomento: c'è già la letteratura, non serve altro.


Ogni volta che scopro una nuova scrittrice - anche scrittori ma in genere sento un'affinità maggiore con le scrittrici - sono FELICE.
Il pensiero di tutti quei libri che ancora non ho letto, di tutte quelle ore da trascorrere in gioiosa compagnia, di tutte le vite nelle quali mi posso tuffare comodamente allungata sulla mia sdraio, di tutto quello che posso imparare...
E parte delle gioia sta nel condividere la scoperta con altri.
Se anche a solo una persona venisse la voglia, dopo aver letto questo post, di cercare un libro della Tyler ( e magari volesse anche dirmelo) la mia felicità sarebbe completa.
Per ora mi accontento del ricordo di questi personaggi così veri, ripensando al finale che purtroppo non posso raccontarvi ma che all'inizio ho rifiutato e poi, pian piano, ho compreso e accettato fino in fondo.

Raffaella
La casa vicino al treno 

domenica 24 maggio 2015

"Noi" di David Nicholls


Questo libro l'ho assaggiato, l'ho sgranocchiato, me lo sono portata dietro ovunque andassi e, alla fine, l'ho divorato in pochi giorni.
Il linguaggio schietto, diretto, sincero e fortemente auto-ironico di Nicholls mi ha conquistata fin dall'incipit:
"L'estate scorsa, poco prima che nostro figlio partisse per il college, mia moglie mi svegliò nel cuore della notte".
Siediti, stai fermo e continua a leggere, ci dice l'autore con questa poche righe. Ho obbedito all'istante.
Ma non era perché aveva sentito un rumore strano, non era per paura dei ladri come invece crede Douglas Petersen, cinquantaquattro anni, ricercatore biochimico, lo stupefacente protagonista di questo romanzo.
" E chi ha parlato di ladri? Ho detto che secondo me il nostro matrimonio è arrivato al capolinea, Douglas. Penso che ti lascerò."


Cosa fareste voi se foste svegliati per ricevere questo pugno in faccia? 
Douglas ne rimane sconvolto, cerca di approfondire interrogando la moglie, Connie, cinquantaduenne che lavora in un famoso museo di Londra, ma riceve solo risposte evasive. Sente il mondo crollargli addosso ma decide di non arrendersi e di attaccarsi con tutte le sue forze a quel viaggio in Europa progettato da tempo, un ultimo viaggio da fare loro due, insieme ad Albie, il figlio diciasettenne che sta per partire per il College.
Avevano progettato di compiere un Grand Tour, quel giro dell'Europa che facevano i giovani nobili nel Settecento per preparasi alla vita adulta.
E così faranno, attraversando in treno la Manica per raggiungere Parigi, prima tappa del loro viaggio.


Saldamente intrecciato al racconto del viaggio c'è quello della storia d'amore tra Douglas e Connie, che si sono conosciuti più di vent'anni prima ad una festa a casa di Karen, la sorella di Douglas.
La loro è stata l'unione di due poli opposti: la bella, curata, solare, disinibita Connie, aspirante pittrice sempre attorniata da artisti e il timido, introverso, solitario e fuori moda Douglas, sempre un po' in disparte, completamente assorbito dagli studi sulla drosofila, il moscerino della frutta.
E' forse la curiosità per le loro differenze ad attrarli all'inizio e a farli rimanere insieme tanto a lungo. In tutti quegli anni sono state tante le prove che hanno dovuto affrontare, alcune più lievi, altre di un dolore lancinante ma nonostante tutto sono sempre rimasti uniti e Douglas, ancora molto innamorato della moglie, è sempre stato convinto che sarebbero invecchiati insieme. Non è facile ricredersi alla sua età e rimettere in discussione tutta la propria vita, se stessi e i propri sentimenti. Tutto quello in cui si aveva creduto e si dava per certo, per scontato. 
Mi ha commosso profondamente il tentativo di Douglas di riconquistare la moglie durante il loro viaggio, e con lei anche l'amore e la stima del figlio, lontano anni luce da lui e dal suo mondo.
Alla fine del libro mi sembrava di conoscerlo, mi ci sono affezionata. Gli ho voluto bene e, in tutto quello che gli è capitato, ho sempre spudoratamente parteggiato per lui. 
Credo sia a causa della sua schietta sincerità; quando si ha la possibilità di conoscere così a fondo una persona, anche i suoi difetti e le sue debolezze, quando si ha la possibilità di comprenderne le ragioni profonde, è impossibile infatti non amarla.
In apparenza sicuro di sé, si butta  a capofitto nella vita senza valutare le conseguenze, inadeguato, goffo nell'esprimere i sentimenti davanti a una moglie molto più sicura di lui che sa quello che vuole e un figlio freddo e distante, che lo osserva con sospetto.  
Ho adorato anche l'idea del Grand Tour, quel viaggio culturale per veder da vicino tutti i grandi capolavori pittorici del passato. Ho ripreso da poco a viaggiare e  questo libro mi ha fatto venire voglia di attraversare l'Europa per visitare tutto quello che non ho ancora visto. 
E, se si è fortunati, a volte succede che un libro ne chiami un altro, lo citi, lo suggerisca, se ne lasci ispirare. Grazie a questo libro ora sto leggendo "Ritratto di Signora" di Henry James.


Vi lascio con un pensiero di Douglas.
"Come se tutti gli anni trascorsi nel frattempo, tutte le cose che abbiamo vissuto io e lei, ossia il nostro matrimonio, non fossero che una parentesi".
Cosa resta di una vita passata insieme se poi ci si lascia?
Cosa rimane dei traslochi, dei viaggi, dei dentini da latte e delle sbucciature, dei disegni attaccati alle porte con lo scotch, dei grembiulini stirati la sera, degli abbracci sotto le coperte quando fuori c'è il temporale? E cosa delle feste in giardino con gli amici, delle torte riuscite e di quelle bruciate, dei litigi, delle pareti dipinte di verde, dei libri accumulati nel tempo e delle foto sul frigo? 
Forse solo una dolce, quanto inutile, malinconia.
Raffaella
La casa vicino al treno 
  


venerdì 15 maggio 2015

"Pink Lady" di Elisabetta Bonfiglioli


Anna ha diciassette anni, i capelli rosa, tanti piercing e una rabbia che la consuma. La conosciamo mentre, con i suoi genitori, si allontana da Milano, dove ha vissuto fin'ora, per raggiungere una villa in campagna, a Belmonte, un paesino della Pianura Padana.
"Fine giugno. Le dieci del mattino. 35 gradi. L'aria condizionata che soffia furiosa. E' il viaggio più lungo e noioso della mia vita."

Qui, nel caldo soffocante della sua nuova mansarda, proverà a ritrovare se stessa, dopo che un terribile incidente d'auto le ha portato via l'amatissima sorella Silvia.
Intanto assisterà alla rinascita dei suoi genitori, che riprenderanno a lavorare e a sorridere.
Anna, invece, trascorre le lente e asfissianti giornate estive in biblioteca a studiare latino e filosofia per poter frequentare l'ultimo anno di liceo il settembre seguente, insieme a Silvia, una ragazza dolce e solare che le presenterà i suoi amici, Eugenio e Marco.
Tra Anna e Marco, lentamente e dopo molte resistenze, nascerà un'amicizia profonda che sembra diventare qualcosa di più.
Ma ricominciare non è semplice,soprattutto se i ricordi ti sorprendono all'improvviso e ti sembra di non poter più respirare.

Un giorno, per caso, Anna trova attaccato sotto al cassetto di un vecchio comò, un diario.
E' il diario di Ete, una ragazza di diciassette anni vissuta in quella casa nell'estate del 1953.
Anna si rifugia in giardino e, giorno dopo giorno, si tuffa tra quelle pagine, concedendosi qualche attimo di tregua dalle sue angosce.
Ete è tornata a Belmonte per trascorrere l'estate con la sua famiglia dopo un anno passato in collegio. Non le manca che l'ultimo anno, ormai, prima di diventare maestra e ha una voglia matta di rivedere Paolo, che aveva lasciato l'estate scorsa e che le manca da impazzire. Paolo, che fa il fornaio per pagarsi gli studi e sta per partire per Bologna, verso l'Università, è innamorato di lei da sempre e la sta aspettando per chiederle di sposarla. Ete, dopo la serata più bella della sua vita, accetterà felice. Ma il giorno dopo viene a sapere che i suoi genitori l'hanno promessa a Enrico, figlio di un loro amico avvocato.


Attraverso la scoperta delle emozioni e dei sentimenti di Ete, Anna si riapproprierà dei suoi, imparando a convivere con quel dolore che credeva infinito e, infine, in un poetico incontro al cimitero, troverà Paolo, ormai anziano, e scoprirà cosa è successo tra lui e la bella Ete, "bella come un temporale".

I libri per ragazzi, i cosiddetti "young adult", sono secondo me sottovalutati. Spesso ci si imbatte in romanzi complessi, in cui si trovano tutti gli ingredienti dei grandi romanzi "per adulti", solo scritti con una delicatezza e una sensibilità maggiore.

E' più difficile scrivere per i ragazzi.
Non si possono usare tutte le armi a nostra disposizione, bisogna limitare l'uso di altre, bisogna dare il massimo con quello che si ha.
Per questo, quando troviamo un grande autore per ragazzi, abbiamo trovato un autore Grande e basta.
J. K. Rowling ( il mio mito) docet.
Ed è questo il caso.
Raffaella
La casa vicino al treno   

mercoledì 6 maggio 2015

"La tentazione di essere felici" di Lorenzo Marone



Un bel titolo, da solo, non basta, è chiaro. 
Quando però ci si imbatte in un libro divertente, ben scritto, capace di far riflettere ( e commuovere) e con personaggi difficili da dimenticare, ecco che quel titolo diventa il perfetto completamento di un'esperienza meravigliosa.

"Mi chiamo Cesare Annunziata, ho settantasette anni, e per settantadue anni e centoundici giorni ho gettato nel cesso la mia vita. Poi ho capito che era giunto il momento di usare la considerazione guadagnata sul campo per iniziare  a godermela sul serio." 
Si presenta così il protagonista di questo romanzo, sbattendoci subito in faccia la sua sincerità disillusa e senza freni. 
Vedovo, con due figli, Cesare ha raggiunto quella fase della vita in cui si può permettere di dire sempre ciò che pensa, anche se questo significa passare per cinico ed egoista di fronte ai figli, per scorbutico di fronte ai vicini di casa, per solitario in generale.
Forse sono state le delusioni, i dolori e i rimpianti che gli anni che passano inevitabilmente si portano dietro a indurirlo così tanto o forse adesso ha deciso di permettersi di essere pienamente se stesso. 
La sua solitudine, però, è spezzata dalla frequentazione di Rossana, un'infermiera non più giovane che arrotonda prostituendosi e l'amicizia con Marino, che invece si è arreso alle delusioni e alla vecchiaia e da anni non esce più di casa. Quando una giovane coppia di sposi viene ad abitare sul suo pianerottolo, Cesare si imbatterà in Emma e i due diventeranno amici. Presto in lui si insinuerà il sospetto che Emma subisca maltrattamenti dal marito e insieme a Marino e a Eleonora, l'anziana "gattara" vicina di casa, proveranno a escogitare un modo per minacciare il marito violento e farlo desistere. Purtroppo però la vita spesso è molto più complicata e difficile di quello che appare a prima vista e il destino deciderà diversamente per Emma e per tutti loro.



La magia di questo libro risiede, secondo me, nell'intreccio delle diverse vicende umane legate più o meno strettamente alla vita di Cesare come l'affetto nascente per Rossana, la scoperta e accettazione dell'omosessualità del figlio Dante, la scoperta del tradimento della figlia Sveva verso il marito e quello che subì lui, senza saperlo, dalla moglie Caterina. Si schiude così, pian piano davanti ai nostri occhi, in questa lunga riflessione sulla sua vita, fatta di ricordi, tremendi rimpianti, sensi di colpa e amare considerazioni, l'animo del protagonista.
Ecco un altro dei motivi per i quali amo leggere: solo attraverso un libro si può entrare così tanto nell'animo di una persona, guardarlo dall'esterno, poterne comprendere le motivazioni profonde e, per questo, non poter fare altro che amarlo.



Il romanzo è ambientato in una Napoli assente e silenziosa, che fa da sfondo, con il suo mare e il suo vulcano, ma non si impone quasi mai, tanto che la vicenda potrebbe ambientarsi in una qualsiasi altra città: "Solo che nella metropoli americana non ci sono i Quartieri Spagnoli con i loro vicoli che scivolano dalla cima della collina, i palazzi sgretolati che si scambiano segreti sui fili dei panni stesi ad asciugare". 




Finalmente un personaggio vero, sincero, senza maschera e senza fronzoli come solo i bambini e gli anziani sanno essere, le due categorie di persone che preferisco in assoluto. 
Forse varrebbe la pena di farci un pensiero serio sulle parole di questo personaggio meraviglioso e cominciare da domani, sì da domani, a guardare la vita in faccia senza paura e senza aspettative, così da non rimanere troppo delusi ma allo stesso tempo senza neanche rinunciare a quella piccola ( o grande) fetta di felicità che sta a noi conquistarci ogni giorno. 
"Alla loro età ogni scusa è buona per festeggiare e il compleanno è ancora visto come un traguardo da mettersi subito alle spalle per inseguire il successivo. Alla loro età non si è ancora capito che sì, l'obiettivo è importante raggiungerlo, ma non c'è fretta, non si deve battere alcun record. Meglio arrivare fino in fondo a passo lento, gustarsi il paesaggio, mantenere un ritmo cadenzato e un respiro regolare per l'intero tragitto, per poi chiudere la corsa il più tardi possibile perché non so se i giovani lo sanno, ma una volta tagliato il traguardo non c'è nessuno che ti viene a decorare il petto con una medaglia".   
Buona lettura
Raffaella
La casa vicino al treno