lunedì 21 settembre 2015

"Chi manda le onde" di Fabio Genovesi


Ho letto questo libro al mare.
Ci ho messo più del solito perché, impegnata a fare quello che ho fatto - vedi post precedente - leggevo solo la sera e dopo pranzo.
Ci ho messo più del solito a leggerlo perché, ogni capitolo costituisce un'unità completa in se stessa, come una scena di un film. Alla fine del capitolo, invece del desiderio di correre a leggere il resto, per un bisogno di saperne di più che spesso un buon libro porta con sé, io chiudevo il libro e, quasi sempre, pensavo: perfetto.
Non c'è null'altro da aggiungere. L'autore ha detto quello che doveva dire e lo ha detto alla grande. Mi veniva voglia, ogni volta, di fargli i complimenti.
E sentivo la necessità di rimanere un po' con le sensazioni che la lettura di quel capitolo aveva suscitato in me.Ancora un po'. Fino alla prossima sessione di lettura.
( In particolare "Ma figurati se la chiamo Luna" è un vero capolavoro, un romanzo nel romanzo).

Forse l'ho già scritto per altri libri ma qui si ride e si sorride di continuo e si piange - tantissimo! - e non nel finale.
Ci si riconosce nei personaggi strani e meravigliosi che Genovesi ci presenta, ci si specchia nei loro difetti e nelle loro debolezze e in quel senso di alienazione che spesso ci portiamo dentro. 
Si finisce per conoscerli a fondo, questi sgangherati, improbabili e proprio per questo così veri personaggi, e alla fine non si può che voler loro bene, anche a uno come Ferro, che alla prima occhiata lo manderesti a quel paese o a Marino, con tutti i fallimenti della sua vita.

 La bella Serena, i figli Luca e Luna, Sandro, sconclusionato quarantenne con gli amici Marino e Rambo, Ferro, bagnino in pensione con il nipote acquisito Zot, che viene da Chernobyl: una manciata di vite prese a caso, in un posto a caso, Forte dei Marmi, ma lontano dall'estate, quando in giro non c'è nessuno e per passare il tempo ti devi inventare qualcosa.
Ma la vita ha già deciso per loro e quando rovescia sulle loro teste le sue onde tremende ciascuno reagisce come può, facendo finta di andare avanti o chiudendosi in se stesso, aggrappandosi a un sogno o guardando la vita con cinismo. Ma nessuno si salva da solo ed sarà proprio l'amicizia e il sostegno reciproco che li terrà a galla e, come i pesci, li farà stare con il muso verso la corrente, verso tutto quello che può arrivare, di buono e di cattivo, senza voltarsi mai.

Ho adorato l'uso sapiente del punto di vista che fa qui Genovesi.
Il romanzo alterna, infatti, la prima persona quando a parlare è Luna; la seconda quando incontriamo Serena ( e quel "tu Serena" non me lo posso più scordare) e la terza, nella descrizione degli altri personaggi, in un'alternanza che non stanca mai e permette di capire immediatamente, dalle prime righe, di che si sta parlando.
Bellissimi i dialoghi, infarciti di modi di dire ed espressioni prese dal dialetto, che conferiscono , se ce ne fosse bisogno, ulteriore vitalità ai personaggi meravigliosamente descritti, vivi anche per quella capacità di introspezione psicologica che certo non manca all'autore. Genovesi è credibile sia quando ci racconta dei tre amici quarantenni, sia quando si mette nei panni di una tredicenne quanto in quelli della madre.


Dopo aver chiuso il libro mi ha colto un grande senso di perdita. 
Mi mancavano. Mi mancano. Tanto.
Avrei voluto tantissimo trascorrere tutta la mia estate al mare in loro compagnia. Non è stato possibile, ma li ho portati dentro di me comunque.

E vorrei lasciarvi con due citazioni: 
"Siamo tutti normali, finché non ci conosci abbastanza".

"(...) lo trattano così male, poveraccio." "Ma chi"
"Lo spazzacamino. Ma perché lo trattano così?"
"Perché è nero (...)"
"Vabbè, ho capito, ma a me mi stanno lontani perché sono tutta bianca. Come deve essere uno per piacere alla gente?" (...)
"Sai Luna, mi sa che a questo mondo, se vuoi piacere alla gente, devi essere grigio come loro. Noi non siamo grigi, e ce la fanno pagare ogni giorno".

Buona lettura,
Raffaella
La casa vicino al treno





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