mercoledì 27 maggio 2015

Il plumcake alle mele e cannella e i periodi storti


La mia maestra di yoga ( e mia guru) me l'aveva detto.
Fino al 2 giugno ci sarà un periodo di cambiamenti e di assestamenti cosmici, un periodo che porta agitazione e sconvolgimento generale.
Sarà, ma fino a ora sono stata benissimo e ho cercato di  resistere alle pressioni esterne, a chi mi diceva di sentirsi in aria, a chi mi raccontava della sua ansia e dei suoi attacchi di panico peggiorati in questo periodo, a chi, di solito tranquillissimo, lamentava oppressione alla bocca dello stomaco.
Ho cercato di farmi una risata quando ieri mattina si è presentato il muratore e ha scaricato nel mio cortile una montagna di terra, i mattoni e una simpatica carriola per poter lavorare nel giardino confinante al mio, quattro giorni prima delle festa per la cresima di mio figlio, che ho intenzione di allestire nel mio giardino e - ahimè - anche nel cortile. In compenso ieri pomeriggio e oggi non si è visto, il che mi fa dedurre che non riuscirà a terminare il lavoro nei due giorni che aveva stabilito. 



Una mia cara zia, che si è offerta di aiutarmi con i preparativi è andata dispersa, la qual cosa non mi preoccuperebbe più di tanto se non fosse che si è incaricata di prendere le scarpe ai bambini e, dato che abbiamo lo stesso numero, ha promesso di prestarne un paio anche  a me ( non abbondo di scarpe col tacco). Se non si farà vedere neanche domani credo che inaugureremo una nuova moda per la cresima, " senza bomboniere e senza scarpe" ( la prima cosa è voluta, la seconda no).



Oggi però mi sta venendo voglia di cedere. Quasi quasi mi lascio andare anch'io alla disperazione.
Stanotte qualcuno è entrato nel nostro giardino e ha rubato una bicicletta. Vabbè, direte voi, non è mica un danno grave. Meglio fuori che in casa.
In effetti è così, peccato che la bici non sia nostra ma di un amico di Pietro che tra poco suonerà al mio cancelletto per riprendersela. Che faccio, mi metto a piangere?  


Intanto cerco di mettere in pratica la teoria del Nobile Distaccato Osservatore, quello che guarda tutto dall'esterno senza lasciarsi coinvolgere dai problemi, che osserva ma non personalizza.
Con la mia nuova calma olimpica vado a prepararmi questo plumcake, quello che faccio quando ho poco tempo o non ho voglia di cucinare. E' facile e super veloce e  mi consola quando ho voglia di coccole.

 

ingredienti:
- 200 gr di farina 0 ( o 100 gr di 0 e 100 gr di farina integrale)
- 150 gr di zucchero di canna
- 200 ml di latte
- 2 mele 
- 30 ml di olio extravergine di oliva
- 30 ml di olio di mais
- 1 pizzico di sale
- 1 pizzico di cannella
- 1/2 bustina scarsa di lievito per dolci

preparazione:
Versa la farina in una ciotola e aggiungici lo zucchero. Versa poi poco alla volta i due tipi d'olio e metà del latte. Taglia a cubetti le mele sbucciate e aggiungile all'impasto, insieme al sale e alla cannella. Amalgama delicatamente il tutto e aggiungi il latte rimanente, facendo attenzione a non rendere l'impasto troppo liquido. Solo alla fine versaci sopra il lievito.
Cuoci in forno statico a 180° per 40 minuti e poi goditi il profumo delizioso delle mele.

Che dite, l'esperimento è riuscito?
Forse è presto per dirlo, non l'ho ancora mangiata.
Magari più tardi. Forse.
Per ora so solo che se becco il muratore...
Raffaella
La casa vicino al treno 

P.S.: Le foto le ho scattate due giorni fa quando ho fatto il plumcake per festeggiare i primi sei mesi del blog. Auguri piccolo!  

domenica 24 maggio 2015

"Noi" di David Nicholls


Questo libro l'ho assaggiato, l'ho sgranocchiato, me lo sono portata dietro ovunque andassi e, alla fine, l'ho divorato in pochi giorni.
Il linguaggio schietto, diretto, sincero e fortemente auto-ironico di Nicholls mi ha conquistata fin dall'incipit:
"L'estate scorsa, poco prima che nostro figlio partisse per il college, mia moglie mi svegliò nel cuore della notte".
Siediti, stai fermo e continua a leggere, ci dice l'autore con questa poche righe. Ho obbedito all'istante.
Ma non era perché aveva sentito un rumore strano, non era per paura dei ladri come invece crede Douglas Petersen, cinquantaquattro anni, ricercatore biochimico, lo stupefacente protagonista di questo romanzo.
" E chi ha parlato di ladri? Ho detto che secondo me il nostro matrimonio è arrivato al capolinea, Douglas. Penso che ti lascerò."


Cosa fareste voi se foste svegliati per ricevere questo pugno in faccia? 
Douglas ne rimane sconvolto, cerca di approfondire interrogando la moglie, Connie, cinquantaduenne che lavora in un famoso museo di Londra, ma riceve solo risposte evasive. Sente il mondo crollargli addosso ma decide di non arrendersi e di attaccarsi con tutte le sue forze a quel viaggio in Europa progettato da tempo, un ultimo viaggio da fare loro due, insieme ad Albie, il figlio diciasettenne che sta per partire per il College.
Avevano progettato di compiere un Grand Tour, quel giro dell'Europa che facevano i giovani nobili nel Settecento per preparasi alla vita adulta.
E così faranno, attraversando in treno la Manica per raggiungere Parigi, prima tappa del loro viaggio.


Saldamente intrecciato al racconto del viaggio c'è quello della storia d'amore tra Douglas e Connie, che si sono conosciuti più di vent'anni prima ad una festa a casa di Karen, la sorella di Douglas.
La loro è stata l'unione di due poli opposti: la bella, curata, solare, disinibita Connie, aspirante pittrice sempre attorniata da artisti e il timido, introverso, solitario e fuori moda Douglas, sempre un po' in disparte, completamente assorbito dagli studi sulla drosofila, il moscerino della frutta.
E' forse la curiosità per le loro differenze ad attrarli all'inizio e a farli rimanere insieme tanto a lungo. In tutti quegli anni sono state tante le prove che hanno dovuto affrontare, alcune più lievi, altre di un dolore lancinante ma nonostante tutto sono sempre rimasti uniti e Douglas, ancora molto innamorato della moglie, è sempre stato convinto che sarebbero invecchiati insieme. Non è facile ricredersi alla sua età e rimettere in discussione tutta la propria vita, se stessi e i propri sentimenti. Tutto quello in cui si aveva creduto e si dava per certo, per scontato. 
Mi ha commosso profondamente il tentativo di Douglas di riconquistare la moglie durante il loro viaggio, e con lei anche l'amore e la stima del figlio, lontano anni luce da lui e dal suo mondo.
Alla fine del libro mi sembrava di conoscerlo, mi ci sono affezionata. Gli ho voluto bene e, in tutto quello che gli è capitato, ho sempre spudoratamente parteggiato per lui. 
Credo sia a causa della sua schietta sincerità; quando si ha la possibilità di conoscere così a fondo una persona, anche i suoi difetti e le sue debolezze, quando si ha la possibilità di comprenderne le ragioni profonde, è impossibile infatti non amarla.
In apparenza sicuro di sé, si butta  a capofitto nella vita senza valutare le conseguenze, inadeguato, goffo nell'esprimere i sentimenti davanti a una moglie molto più sicura di lui che sa quello che vuole e un figlio freddo e distante, che lo osserva con sospetto.  
Ho adorato anche l'idea del Grand Tour, quel viaggio culturale per veder da vicino tutti i grandi capolavori pittorici del passato. Ho ripreso da poco a viaggiare e  questo libro mi ha fatto venire voglia di attraversare l'Europa per visitare tutto quello che non ho ancora visto. 
E, se si è fortunati, a volte succede che un libro ne chiami un altro, lo citi, lo suggerisca, se ne lasci ispirare. Grazie a questo libro ora sto leggendo "Ritratto di Signora" di Henry James.


Vi lascio con un pensiero di Douglas.
"Come se tutti gli anni trascorsi nel frattempo, tutte le cose che abbiamo vissuto io e lei, ossia il nostro matrimonio, non fossero che una parentesi".
Cosa resta di una vita passata insieme se poi ci si lascia?
Cosa rimane dei traslochi, dei viaggi, dei dentini da latte e delle sbucciature, dei disegni attaccati alle porte con lo scotch, dei grembiulini stirati la sera, degli abbracci sotto le coperte quando fuori c'è il temporale? E cosa delle feste in giardino con gli amici, delle torte riuscite e di quelle bruciate, dei litigi, delle pareti dipinte di verde, dei libri accumulati nel tempo e delle foto sul frigo? 
Forse solo una dolce, quanto inutile, malinconia.
Raffaella
La casa vicino al treno 
  


martedì 19 maggio 2015

La bellezza della piccole cose


Viviamo circondati dalla bellezza e spesso neanche ce ne accorgiamo. A volte basta davvero così poco, basta alzare lo sguardo ed eccola lì, la bellezza, pronta a regalarci forza ed energia, pronta a cambiare la nostra giornata.
Un fiore che prima non c'era, un albero che non avevamo notato, la luce del sole che filtra attraverso le nuvole proprio mentre attraversiamo piano un ponte e un suo raggio si riflette sulla facciata di una chiesa.
    

La bellezza, secondo me, è armonia, è proporzione nelle forme, è accordo tra l'interno e l'esterno.

La vera bellezza, che poi è quella che possiamo osservare tutti i giorni nella natura, è armonia con però un elemento dissonante, un particolare che si allontana dal resto dell'insieme, che "stona", perché la bellezza non è perfezione e la perfezione in natura non esiste nemmeno.
Un sorriso luminoso con quel dente un po' scheggiato, le gambe lunghe ma un po' storte, quella ruga in mezzo alla fronte che si spiana quando mi guardi negli occhi.


La bellezza è unicità, ed è proprio il caso di dire che ciascuno è bello a modo suo, con  le sue forme e le sue proporzioni. Che pena mi fanno tutte le discussioni su grasso è bello, magro è bello! Quanta ipocrisia. Dipende. Dipende sempre dal singolo caso.
La bellezza la trovo nel sorriso, non importa se un po' storto basta solo che sia sincero, la trovo nello sguardo brillante, di qualsiasi colore siano gli occhi.
La bellezza la trovo nella cura e nelle attenzioni che una persona si dedica: ho conosciuto delle signore molto normali che però mi apparivano bellissime nei loro abiti curati, le unghie laccate, i capelli in ordine. Una di queste era la mia nonna. 
Da lei ho imparato, credo, più o meno tutto quello che so ma soprattutto, con il suo esempio, mi ha insegnato a cercare la bellezza ogni giorno, anche nelle piccole cose.
Un fiore sul tavolo, una spilla al posto giusto, quell'anello su quel dito, quel giorno.  
Prendersi cura di sé non è vanità, non è tempo sprecato e soprattutto non si fa per gli altri. E' solo la prima e più evidente forma di amore e di rispetto che ci dobbiamo, la base di partenza per imparare a volerci davvero bene e per cominciare a conoscerci a fondo, che credo poi sia un viaggio che dura tutta la vita.
Ho letto, poco tempo fa, che il primario di un ospedale psichiatrico, un uomo illuminato che ha cercato di curare la malattia mentale in modo diverso, insegna alle sue pazienti a prendersi cura di sé, a cominciare dalla manicure. Capite l'importanza!
Non faranno miracoli ma quanto mi sento infinitamente meglio con un taglio di capelli studiato apposta sul mio viso e con un colore che mi dà luce. Sorrido molto di più, solo al pensarci.
Poi può venire anche il diluvio che neanche me ne accorgo.



Sono contenta di assomigliare a me stessa. Ora alla mia età posso affermarlo con certezza. E spero, andando avanti, di assomigliarmi sempre di più.   
Non vorrei assomigliare a nessun altro.
E pensare che fino a qualche tempo fa non mi piacevo proprio. 
Ma questo è meglio che ve lo racconto un'altra volta.




La bellezza non è qualcosa di superfluo, come non lo sono i giardini nelle nostre città. Come non lo sono i parchi, le piazze, le sculture, le istallazioni.
Secondo me dovremmo essere grati ai "creatori di bellezza" come tutti gli artisti, che riescono a vedere quello che gli altri non vedono e ai "raccoglitori di bellezza", a quanti cioè si adoperano ogni giorno per far conoscere e diffondere il più possibile ogni forma di bellezza, e penso ai librai, ai bibliotecari, a coloro che organizzano eventi e curano mostre, ai volontari delle diverse associazioni che promuovono la conoscenza del nostro territorio e delle ricchezze del nostro meraviglioso Paese.
Quanta bellezza, se solo abbiamo voglia di guardarci attorno dimenticandoci per un attimo dei nostri pensieri!

Raffaella
La casa vicino al treno



Crediti: queste foto sono state scattate domenica scorsa durante l'evento "I Flora", prima manifestazione floreale a Canzo (Co).
Le tele sono di Simone Sirtori www.sirtorisimone.wordpress.com

venerdì 15 maggio 2015

"Pink Lady" di Elisabetta Bonfiglioli


Anna ha diciassette anni, i capelli rosa, tanti piercing e una rabbia che la consuma. La conosciamo mentre, con i suoi genitori, si allontana da Milano, dove ha vissuto fin'ora, per raggiungere una villa in campagna, a Belmonte, un paesino della Pianura Padana.
"Fine giugno. Le dieci del mattino. 35 gradi. L'aria condizionata che soffia furiosa. E' il viaggio più lungo e noioso della mia vita."

Qui, nel caldo soffocante della sua nuova mansarda, proverà a ritrovare se stessa, dopo che un terribile incidente d'auto le ha portato via l'amatissima sorella Silvia.
Intanto assisterà alla rinascita dei suoi genitori, che riprenderanno a lavorare e a sorridere.
Anna, invece, trascorre le lente e asfissianti giornate estive in biblioteca a studiare latino e filosofia per poter frequentare l'ultimo anno di liceo il settembre seguente, insieme a Silvia, una ragazza dolce e solare che le presenterà i suoi amici, Eugenio e Marco.
Tra Anna e Marco, lentamente e dopo molte resistenze, nascerà un'amicizia profonda che sembra diventare qualcosa di più.
Ma ricominciare non è semplice,soprattutto se i ricordi ti sorprendono all'improvviso e ti sembra di non poter più respirare.

Un giorno, per caso, Anna trova attaccato sotto al cassetto di un vecchio comò, un diario.
E' il diario di Ete, una ragazza di diciassette anni vissuta in quella casa nell'estate del 1953.
Anna si rifugia in giardino e, giorno dopo giorno, si tuffa tra quelle pagine, concedendosi qualche attimo di tregua dalle sue angosce.
Ete è tornata a Belmonte per trascorrere l'estate con la sua famiglia dopo un anno passato in collegio. Non le manca che l'ultimo anno, ormai, prima di diventare maestra e ha una voglia matta di rivedere Paolo, che aveva lasciato l'estate scorsa e che le manca da impazzire. Paolo, che fa il fornaio per pagarsi gli studi e sta per partire per Bologna, verso l'Università, è innamorato di lei da sempre e la sta aspettando per chiederle di sposarla. Ete, dopo la serata più bella della sua vita, accetterà felice. Ma il giorno dopo viene a sapere che i suoi genitori l'hanno promessa a Enrico, figlio di un loro amico avvocato.


Attraverso la scoperta delle emozioni e dei sentimenti di Ete, Anna si riapproprierà dei suoi, imparando a convivere con quel dolore che credeva infinito e, infine, in un poetico incontro al cimitero, troverà Paolo, ormai anziano, e scoprirà cosa è successo tra lui e la bella Ete, "bella come un temporale".

I libri per ragazzi, i cosiddetti "young adult", sono secondo me sottovalutati. Spesso ci si imbatte in romanzi complessi, in cui si trovano tutti gli ingredienti dei grandi romanzi "per adulti", solo scritti con una delicatezza e una sensibilità maggiore.

E' più difficile scrivere per i ragazzi.
Non si possono usare tutte le armi a nostra disposizione, bisogna limitare l'uso di altre, bisogna dare il massimo con quello che si ha.
Per questo, quando troviamo un grande autore per ragazzi, abbiamo trovato un autore Grande e basta.
J. K. Rowling ( il mio mito) docet.
Ed è questo il caso.
Raffaella
La casa vicino al treno   

mercoledì 13 maggio 2015

Elena e il cammino di Santiago


Elena è una delle persone più coraggiose che conosca.
E la cosa meravigliosa è che non lo sa.
E se glielo dico non mi crede.
Invece coraggiosa lo è davvero.
La vita l'ha messa  alla prova in tante occasioni e lei l'ha sempre affrontata guardandola dritto negli occhi.
Non si è mai tirata indietro anche quando avrebbe tanto voluto farlo.


L'anno scorso, alla vigilia di un compleanno importante, ha deciso di intraprendere un pellegrinaggio per ringraziare per tutto quello che aveva vissuto sino ad allora e per la forza immensa che la fede ha saputo trasmetterle in questi ultimi anni, anni difficili in cui è rimasta orfana e ha dovuto riorganizzare tutta la sua vita.
Nella fede ha trovato le risposte, quelle che cercava quando, in piena notte, si svegliava sudata e tremante, nessuno a cui aggrapparsi e la sensazione di affogare.
La fede l'ha riportata a galla e le ha indicato la riva.
Da qui la volontà di affidare al Signore il resto della sua vita con un gesto simbolico e fortemente sentito, voluto e vissuto attimo dopo attimo. 
All'inizio le difficoltà la sono sembrate insormontabili e il viaggio quasi impossibile. Era certa che da sola non avrebbe potuto farcela. Allora, su consiglio di sua sorella, che non poteva seguirla, si è guardata meglio attorno e ha chiesto, cercato, condiviso i suoi progetti e i suoi sogni e alla fine ha trovato quattro colleghe, quattro donne come lei che avevano voglia di fare un'esperienza forte e diversa.


Il 20 luglio dell'anno scorso sono partite da Milano per Madrid; per Elena era il primo volo. Da Madrid hanno raggiunto Porferada col treno e, infine, sono arrivate ad Astorga, base di partenza di questa loro avventura.
Il giorno dopo alle 6,30 - suppergiù - zaino in spalla e scarponi ai piedi hanno incominciato a camminare. E poi per dieci giorni non hanno più smesso.
Hanno camminato per 299 km, con una media di 25 km al giorno, cinque donne sole, al buio e sotto il sole estivo della Spagna, su strade asfaltate e su strade di campagna, attraverso piccoli paesi e sui Pirenei.
Hanno dimostrato a sé stesse prima di tutto, ma anche  a noi che ne conosciamo la storia, che tutto è davvero possibile, che quando si ha un obiettivo concreto davanti agli occhi si trova anche la determinazione e poi la forza necessaria per raggiungerlo.
La fede, in questo viaggio, è stata una compagna silenziosa ma sempre presente. Elena mi ha raccontato che prima di partire, ogni mattina, recitavano tutte e cinque assieme una preghiera di affidamento del cammino e concludevano allo stesso modo la giornata con una preghiera. E anche durante le cinque o sei ore di cammino quotidiano c'era sempre spazio per la recita di un rosario che, insieme ai canti e allo scambio di opinioni con le compagne, aiutava a superare i momenti di difficoltà e di stanchezza o di scoraggiamento che, a tutte prima o poi sono capitati.


Giorno dopo giorno, passo dopo passo, insieme alle vesciche e al mal di piedi, affiorano i ricordi e le speranze per il futuro. Ci si dimentica di sé, di quello che si sta facendo e ci passa davanti agli occhi la nostra vita passata o forse solo quello che abbiamo deciso di trattenere e di portare dentro di noi, nel bene e nel male.
Credo che in questo risieda la magia di un viaggio: non è mai solo uno spostamento attraverso un luogo ma sempre e solo dentro di noi.
Ogni pomeriggio, dopo aver pranzato, Elena si dedicava al bucato e al riposo, alla lettura e alla stesura del suo "diario di bordo".
E iniziava, a quel punto, un viaggio diverso, fatto di incontri e di scambi di esperienze con altri pellegrini, di sguardi e di sorrisi, di abbracci e di aiuto reciproco. Questa è la parte del viaggio che avrei certamente amato di più, se solo fossi sopravvissuta - e sinceramente non credo - alla prima parte.
Sono sicura che sono tante le storie che Elena si è portata a casa ma per certo so che sono soprattutto due quelle a cui ripensa più spesso. A Francisco, un ragazzo portoghese che porta in giro la sua solitudine e la sua povertà per tutta l'Europa adattandosi a fare piccoli lavori, lui che non ha potuto studiare ma conosce bene quattro lingue e chissà quante altre cose.
E a Josef, che senza chiedere nulla in cambio, curava tutti quelli che incontrava sul suo cammino, la pelle bruciata dal sole e un cuore immenso. 


A Santiago sono arrivate di prima mattina, dopo aver viaggiato tutta la notte e qui vi chiedo un piccolo sforzo. Provate a chiudere gli occhi. E immaginate la campagna di notte, magari illuminata dalla luna. Immaginate il silenzio. E poi lo scricchiolio e il frusciare di cinque paia di scarponi che avanzano, in fila, un piede dopo l'altro. Per 30 km. Attraverso la notte, verso l'alba, fino la sorgere del sole, fino al sole pieno. E poi Santiago.
E qui mi voglio fermare, perché la gioia e la soddisfazione di essere giunte alla meta deve rimanere un sentimento privato. Noi possiamo solo immaginare cinque giovani donne sorridenti, in pantaloncini a scarponi, con un grosso zaino sulle spalle che entrano nel Santuario affollato e profumato d'incenso, e possiamo immaginare di far loro un saluto da lontano e un sorriso, grati di aver condiviso con loro una piccola parte del cammino.

Grazie amica mia per avermi voluto regalare la tua storia.
La porterò dentro di me e la tirerò fuori quando ne avrò bisogno.
E ricorderò sempre che, anche nella vita, un pellegrino non è mai un turista.
Raffaella
La casa vicino al treno  


    

mercoledì 6 maggio 2015

"La tentazione di essere felici" di Lorenzo Marone



Un bel titolo, da solo, non basta, è chiaro. 
Quando però ci si imbatte in un libro divertente, ben scritto, capace di far riflettere ( e commuovere) e con personaggi difficili da dimenticare, ecco che quel titolo diventa il perfetto completamento di un'esperienza meravigliosa.

"Mi chiamo Cesare Annunziata, ho settantasette anni, e per settantadue anni e centoundici giorni ho gettato nel cesso la mia vita. Poi ho capito che era giunto il momento di usare la considerazione guadagnata sul campo per iniziare  a godermela sul serio." 
Si presenta così il protagonista di questo romanzo, sbattendoci subito in faccia la sua sincerità disillusa e senza freni. 
Vedovo, con due figli, Cesare ha raggiunto quella fase della vita in cui si può permettere di dire sempre ciò che pensa, anche se questo significa passare per cinico ed egoista di fronte ai figli, per scorbutico di fronte ai vicini di casa, per solitario in generale.
Forse sono state le delusioni, i dolori e i rimpianti che gli anni che passano inevitabilmente si portano dietro a indurirlo così tanto o forse adesso ha deciso di permettersi di essere pienamente se stesso. 
La sua solitudine, però, è spezzata dalla frequentazione di Rossana, un'infermiera non più giovane che arrotonda prostituendosi e l'amicizia con Marino, che invece si è arreso alle delusioni e alla vecchiaia e da anni non esce più di casa. Quando una giovane coppia di sposi viene ad abitare sul suo pianerottolo, Cesare si imbatterà in Emma e i due diventeranno amici. Presto in lui si insinuerà il sospetto che Emma subisca maltrattamenti dal marito e insieme a Marino e a Eleonora, l'anziana "gattara" vicina di casa, proveranno a escogitare un modo per minacciare il marito violento e farlo desistere. Purtroppo però la vita spesso è molto più complicata e difficile di quello che appare a prima vista e il destino deciderà diversamente per Emma e per tutti loro.



La magia di questo libro risiede, secondo me, nell'intreccio delle diverse vicende umane legate più o meno strettamente alla vita di Cesare come l'affetto nascente per Rossana, la scoperta e accettazione dell'omosessualità del figlio Dante, la scoperta del tradimento della figlia Sveva verso il marito e quello che subì lui, senza saperlo, dalla moglie Caterina. Si schiude così, pian piano davanti ai nostri occhi, in questa lunga riflessione sulla sua vita, fatta di ricordi, tremendi rimpianti, sensi di colpa e amare considerazioni, l'animo del protagonista.
Ecco un altro dei motivi per i quali amo leggere: solo attraverso un libro si può entrare così tanto nell'animo di una persona, guardarlo dall'esterno, poterne comprendere le motivazioni profonde e, per questo, non poter fare altro che amarlo.



Il romanzo è ambientato in una Napoli assente e silenziosa, che fa da sfondo, con il suo mare e il suo vulcano, ma non si impone quasi mai, tanto che la vicenda potrebbe ambientarsi in una qualsiasi altra città: "Solo che nella metropoli americana non ci sono i Quartieri Spagnoli con i loro vicoli che scivolano dalla cima della collina, i palazzi sgretolati che si scambiano segreti sui fili dei panni stesi ad asciugare". 




Finalmente un personaggio vero, sincero, senza maschera e senza fronzoli come solo i bambini e gli anziani sanno essere, le due categorie di persone che preferisco in assoluto. 
Forse varrebbe la pena di farci un pensiero serio sulle parole di questo personaggio meraviglioso e cominciare da domani, sì da domani, a guardare la vita in faccia senza paura e senza aspettative, così da non rimanere troppo delusi ma allo stesso tempo senza neanche rinunciare a quella piccola ( o grande) fetta di felicità che sta a noi conquistarci ogni giorno. 
"Alla loro età ogni scusa è buona per festeggiare e il compleanno è ancora visto come un traguardo da mettersi subito alle spalle per inseguire il successivo. Alla loro età non si è ancora capito che sì, l'obiettivo è importante raggiungerlo, ma non c'è fretta, non si deve battere alcun record. Meglio arrivare fino in fondo a passo lento, gustarsi il paesaggio, mantenere un ritmo cadenzato e un respiro regolare per l'intero tragitto, per poi chiudere la corsa il più tardi possibile perché non so se i giovani lo sanno, ma una volta tagliato il traguardo non c'è nessuno che ti viene a decorare il petto con una medaglia".   
Buona lettura
Raffaella
La casa vicino al treno