giovedì 8 ottobre 2015

Smetto quando voglio ( di leggere Anne Tyler)


La prima volta che ci siamo viste stava su uno scaffale, stretta tra tanti altri. In una sequenza lunghissima di nomi e titoli.
Io, in piedi, davanti a lei.
Conoscevo il suo nome, non la sua scrittura, ancora non le sue storie.
Non ricordo cosa mi abbia spinta a prendere quel volume e a portarmelo a casa in tutta fretta.
Forse il disegno in copertina.
Forse una frase letta di sfuggita.
Poi però quel libro l'ho letto. 
Ed è stato subito amore.
Mi sono immedesimata nella storia di Delia - protagonista di "Per puro caso" - ho tifato per lei.
E anche se alla fine non sono stata d 'accordo con la sua scelta, anche se io avrei agito diversamente - ma forse bisogna trovarcisi in una situazione, no? - l'ho capita. E rispetto le sue scelte.
( vd. post dell' 8/6, " Tu la conosci Anne Tyler?")


Ma di certo un libro non basta.
Tempo fa mi sono chiesta quanti libri di un autore bisogna aver letto per poter dire di conoscerlo abbastanza bene.
Mi ero risposta tre. Così ho voluto continuare a cercare di conoscere la signora Tyler.
Il secondo e il terzo li ho presi assieme.
Ormai conosco lo scaffale, anche se nel frattempo la biblioteca ha cambiato completamente la sua disposizione.
"Ragazza in un giardino" è stato il romanzo delle Tyler che mi è piaciuto di meno, perché non sono riuscita ad entrare in sintonia con la protagonista.
E' una ragazza indolente, senza sogni o aspettative dalla vita, che si adatta ad una situazione che non ha scelto ma nella quale si è trovata quasi per caso. E anche gli altri personaggi non mi sono piaciuti un granché. 
Questo non toglie che la scrittura dell'autrice sia sempre precisa e profonda come una lama ben affilata. 
Con il terzo invece  è stato di nuovo amore.
Ne "La figlia perfetta" la scrittrice ha saputo ricreare una precisa atmosfera, quella della comunità iraniana a Baltimora, che lei conosceva bene per aver sposato uno psichiatra iraniano, ormai scomparso da diversi anni.
Nella figura di Maryam ha saputo racchiudere tutte le contraddizioni di una donna cresciuta ed educata in un Paese ed emigrata poi con il marito in un altro, completamente differente.
Ha saputo delineare con grande delicatezza e sensibilità i sentimenti contrastanti che si agitano dentro di lei, che non si sente americana ma nemmeno iraniana, così lontana dai suoi parenti più prossimi e invece stranamente, ma forse neanche troppo, vicina alla famiglia americana incontrata per caso in aeroporto all'arrivo dalla Corea della nipotina adottiva.



E tre li avevo letti.
Potevo dire di conoscere l'autrice?
Era abbastanza così?
No! Per me, assolutamente no!
Sono corsa a prendere "Un matrimonio da dilettanti" che ho letto subito dopo.
Ecco, credo sia stato quello il momento.
C'è sempre un momento, vero?
Quello in cui mi sono resa conto che li avrei volentieri letti tutti, almeno quelli che riuscivo a trovare in biblioteca, uno dopo l'altro.
Questo libro l'ho divorato. Meraviglioso.
Michael e Pauline si conoscono giovanissimi il giorno di Pearl Harbour, a Baltimora, nel quartiere polacco, dovo vivono con i genitori. Quell'incontro casuale tra la folla, in cui lei lo spinge ad arruolarsi, cambiando per sempre la sua vita, innesca l'avvio di questa storia, che è la storia di un matrimonio, raccontato e scandagliato nei più intimi recessi e negli aspetti più privati e profondi di entrambe le parti. Ogni capitolo ci proietta in avanti di diversi anni, fino al nodo centrale: la scomparsa volontaria della figlia maggiore, che li lascerà attoniti e sgomenti, alle prese con un vuoto impossibile da colmare.



Perché amo questi libri?
Per la delicatezza, la profondità, la precisione, l'estrema sensibilità.
Mai un dettaglio di troppo, mai uno di meno.
Perché sollevano molte domande, perché a volte ti sbattono davanti agli occhi quello che è successo o potrebbe succedere anche a te obbligandoti a voltare la faccia e a non abbassare lo sguardo.

Arrivata a questo punto, potevo smettere?
Ho proseguito con "Quando eravamo grandi".
Altra folgorazione. Altro amore.
Alla soglia dei cinquant'anni Rebecca, vedova e caposaldo di una famiglia numerosa, all'improvviso viene colta da nostalgia per il passato e si ritrova come estranea alla sua vita attuale.
E se le cose fossero andate diversamente?
E se non avessi sposato mio marito?
Ormai libera e con figli grandi, Rebecca decide di andare in cerca di quel passato cui aveva bruscamente voltato le spalle per sposare l'affascinante Joe e lavorare con lui. Rintraccerà il vecchio fidanzato ma poi le cose andranno diversamente da come si era immaginata. Capirà che se ha fatto le scelte che ha fatto è stato perché lo ha fortemente voluto. E scoprirà anche, con suo immenso stupore, che sì, è stata felice. E lo è tuttora, in quella caotica famiglia che un po' ha ereditato e un po' si è costruita, giorno dopo giorno, un passo alla volta. 



A questo punto la mia dipendenza mi era chiara.
In realtà sono piuttosto brava ad allontanarmi da quello che mi piace e a proibirmi quello che mi fa stare bene.
E allora via a legger altro.
Fino a che non ho resistito.
Fino a "Il turista involontario".
Ci ho messo più del solito ad affezionarmi a Macon Leary, autore di guide turistiche per uomini d'affari che odiano viaggiare, forse perché è un uomo. Ma dopo averlo conosciuto meglio l'ho adorato.
Abbandonato dalla moglie dopo la tragica morte del loro unico figlio, si ricrea una vita solitaria scandita dall'abitudine e dal risparmio di energie. Finché una giovane ragazza-madre, piena di vita lo coinvolge suo malgrado nella sua vita disorganizzata e assurda, stravolgendolo. Con un finale davvero a sorpresa.
Ho concluso la mia esperienza di lettura di questa autrice notevole con "L'albero delle lattine", opera che affronta in modo inusuale il tema della morte, per di più di una bambina.
Delicato acquerello della vita, se così si può ancora chiamare, della famiglia e degli amici più stretti della piccola Janie Rose, senza retorica, né considerazioni scontate.



Arrivati a questo punto vi meritate una confessione.
Ho detto una bugia.
Una sola in tutto questo post lunghissimo.
Mi sa che non smetto più.
Raffaella
La casa vicino al treno 



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